Mai il tempo e la regia sono stati così ingenerosi nei confronti di un universo di finzione e dei suoi interpreti, mai una serie televisiva, nel tornare ad animarsi sugli schermi a distanza di anni e contro ogni aspettativa, ha imboccato una narrazione così disfunzionale e dedita al più sfrenato disincanto.

Un omaggio ai fan? Certo. Uno strategico accalappiamento di pubblico? Sicuramente. Eppure la nuova ministagione di Gilmore Girls, o come è conosciuta qui da noi Una Mamma per Amica, è anche un abile e arguto racconto sul cambiamento dentro e fuori la sua storia e le sue protagoniste, dentro e fuori Stars Hollow – la ridente cittadina in cui è ambientata gran parte della serie – ma soprattutto dentro e fuori il credo degli spettatori più affezionati. Ecco perché approcciarsi al revival potrà non essere l’esperienza che ci si aspettava, quell’intrattenimento semplice, familiare e piacevole che si ricordava e auspicava. Al contrario, l’impresa potrà risultare snervante, in attesa che tutto torni come un tempo, come dieci anni orsono, “quando la vita era più facile e si potevano mangiare anche le fragole”, almeno prima della fine degli intensi ma risicati quattro episodi. Non sarà così, e non sarà facile capirlo prima delle ultime sconvolgenti battute pronunciate da Rory – che come uno schiaffo in pieno volto riporteranno molti spettatori alla realtà – ma Gilmore Girls: A Year in the Life infrangerà più di qualche sogno.

GILMORE GIRLS
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La serie televisiva originale, composta di sette stagioni ideate da Amy Sherman-Palladino, viene trasmessa tra il 2000 e il 2007 riscuotendo, fin da subito, un enorme successo. La storia narra le vicende di Lorelai (Lauren Graham) e Rory Gilmore (Alexis Bledel), mamma e figlia il cui gap generazionale è ridotto al minimo. Lorelai, infatti, rimasta incinta all’età di quindici anni, scappa di casa rifugiandosi nella piccola cittadina di Stars Hollow, decisa a portare avanti la gravidanza da sola e, soprattutto, lontana dagli agi e dalla disapprovazione di una vita aristocratica. Tuttavia, la presenza della bambina obbligherà la famiglia Gilmore a ristabilire in qualche modo i contatti e a far sì che, attraverso la crescita di Rory, le divergenze vadano appianandosi aprendo gli occhi l’uno sulle identità e i bisogni dell’altro. La serie, che tra i diversi pregi annovera quello di aver creato un universo coerente e divertente, fatto di personaggi semplici eppur ben scritti e riconoscibili, tratteggia il rapporto mamma e figlia – anche attraverso il mancato rapporto tra nonna e mamma – in maniera coinvolgente, toccando i numerosi temi che interessano le esperienze di maturazione e affermazione.

La narrazione, ben distante dal resoconto esauriente e realistico, punta alla trascrizione parziale e disimpegnata dell’universo in oggetto, attribuendo a ogni personaggio una o più caratteristiche ricorrenti, tanto da farne macchiette da commedia. Nonostante non manchino i momenti dolenti, il tutto è sospinto da una brezza fresca e leggera in grado di stemperare ogni possibile risvolto drammatico. Tale semplicità si esprime anche attraverso la regia, in cui il taglio delle riprese e le soluzioni di montaggio mantengono una coerenza elementare dal primo all’ultimo episodio. Oltre ai momenti comici e corali, talvolta tratteggiati con qualche virtuosismo – specie nelle riprese aeree che coinvolgono e connettono le strade di Stars Hollow – i rapporti e i sentimenti sono osservati con certo “pudore scopico”, a una distanza di sicurezza che quasi mai supera il tradizionale piano americano.

GILMORE GIRLS
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Queste modalità di messinscena, sommate alle soluzioni fotografiche in cui si predilige un’illuminazione tenue e in cui prevalgono i colori pastello, rendono la serie un apologo naif sul rapporto tra una mamma e una figlia che, seppur accomunate da ben più di un nome, si apprestano a distinguersi affinché i destini delle loro vite possano compiersi autonomamente. Le amicizie, gli amori, le ambizioni e le delusioni si avvicendano così al riparo dal mondo, che sta appena fuori dall’organizzatissima Stars Hollow, ma di cui non si percepisce mai né l’urgenza, né la necessità. Almeno fino a oggi…

Dopo anni di pressioni da parte dei fan, in parte insoddisfatti dall’epilogo che nel 2007 lasciava Rory e Lorelai affacciate su un futuro incerto, Amy Sherman-Palladino cede alle “lusinghe” di Netflix e decide di realizzare una nuova stagione atta a coprire un anno di vita delle ragazze Gilmore. Il risultato è A Year in a Life, un prodotto che, di primo acchito, pare una poco allegra trollata. Sono trascorsi dieci anni, Lorelai frequenta ancora Luke (Scott Patterson) – il sempliciotto proprietario del diner di riferimento di Stars Hollow – e Rory ciondola tra una situazione sentimentale incerta ma affollata, una condizione lavorativa snervante e drammatica e il solito trantran sociale (vecchi amici, vecchie conoscenze, vecchie abitudini alimentari). Il rapporto madre e figlia, al netto di nuovi scambi più adulti – si parla di sesso e droghe con più disinvoltura – non sembra cambiato. Il primo rassicurante episodio, intitolato Winter, invita lo spettatore a ripercorrere i luoghi e le routine delle Gilmore, aiutandolo a stringere un nuovo patto di fiducia (da tradire).

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A poco a poco si scopre che molti dei vecchi personaggi si sono trasferiti altrove e hanno nuove responsabilità cui far fronte (famiglie diverse, allargate, nuove prospettive, impieghi differenti), la loro esistenza – si può dire – non ha più nulla a che vedere con la staticità da cartolina preservata da Stars Hollow. Rory si sposta tra un mondo e l’altro cercando, da un lato, di emanciparsi definitivamente dalle sue origini e, dall’altro, di mantenere intatti i legami di una vita. Frequenta ancora il suo ex Logan (Matt Czuchry), che vive a Londra e che porta avanti una relazione destinata al matrimonio; viaggia frequentemente per lavoro, senza svolgerne, di fatto, nessuno; ed è senza entrate economiche e senza fissa dimora e, per questo, costretta a fare continuamente ritorno alla casa natia. La sensazione è che chi ha lasciato Stars Hollow sia semplicemente cambiato, mentre coloro che vi sono rimasti, che hanno scelto la cittadina come loro dimora stabile, siano rimasti gli stessi, costretti a vestire panni sempre meno comodi e a lottare contro i cambiamenti dovuti al passare del tempo.

La trovata sensazionale della Sherman-Palladino – si esclude che si tratti di semplice casualità – è che mentre coloro che hanno lasciato Stars Hollow siano semplicemente diventati adulti, agli irriducibili sia stato riservato un trattamento impietoso, dissacrante e ridicolizzante. L’illuminazione, spesso “sbagliata”, è sembrata intenta a sottolineare i sopravvenuti difetti fisici o i ripieghi posticci – la pancia di Luke e il suo trapianto tricologico, il gonfiore e l’inespressività facciale di Lorelai sotto botox, le rughe profonde di Rory, la magrezza e il volto scavato di nonna Emily (Kelly Bishop). Ogni inquadratura, che ora si avventura nello spazio inesplorato del primo piano, peraltro a una più alta definizione, prende tempo e si sofferma incurante sui corpi che rivelano la loro scadenza. E proprio sulle scadenze è giocata la narrazione tutta, che già dal secondo episodio Spring, abbandonati i convenevoli di rito, preme l’acceleratore sul cambiamento, l’ultima possibilità di evolversi, di abbandonare il proprio status di macchietta, di staccarsi dalla fintissima Stars Hollow o di accettarne per sempre le rigide convenzioni.

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Se Emily Gilmore, liberata dal rapporto simbiotico con Richard, si riappropria dolorosamente della sua individualità e si stabilisce altrove, Lorelai, dopo una breve fuga alla ricerca di sé, torna a casa e sancisce il suo rapporto con Luke, divenendo la coppia principale di un autentico presepe vivente – la cerimonia, dopotutto, inizia varcando una porta nel nulla che dà direttamente sul centro cittadino illuminato a festa. Dal canto suo Rory è indecisa. Se da una parte vorrebbe svoltare, spiccare finalmente il volo, ricongiungersi con Logan dall’altra parte del mondo, fare il lavoro per cui ha sudato e studiato – ribadendo a più riprese nel terzo episodio Summer “Non sono tornata!”, come a rimarcare la sua distanza e diversità rispetto all’abitante medio di Stars Hollow e soprattutto rispetto alla triste gang dei trentenni – dall’altra desidererebbe occupare uno spazio – quello lasciato libero dal direttore della Gazette di Stars Hollow – e restare a far parte di quel luogo familiare, accanto ai suoi affetti più cari, cullandosi nel sempiterno corteggiamento romanzesco di Jess (Milo Ventimiglia). Dopo un breve saluto al passato e a quello che sarebbe potuto essere – la lunga notte con Logan nell’ultimo episodio Fall – è il destino (gli sceneggiatori) a scegliere per lei, a decretarne il colossale fallimento in quanto essere umano mediocre e il coronamento in quanto personaggio straordinario: una Gilmore destinata a dar vita ad altre meravigliose Gilmore, di cui forse non sapremo mai. Sipario.



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2 Comments

  1. speriamo sia la fine per davvero !

    1. Francamente me lo auguro…

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