Margaret Atwood è stata l’ospite d’onore della XXVII edizione del Milano Noir InFestival. La scrittrice di fantascienza che non scrive fantascienza (LOL) è stata protagonista di due panel dedicati e ha dialogato con il suo pubblico, aumentato enormemente dopo la trasposizione di due suoi romanzi per il piccolo schermo nel 2017.
Questa è la trascrizione dell’intervento tenutosi allo IULM di Milano e moderato da Antonio Scurati e da Nicoletta Vallorani.
Nel nostro mondo, come in quello de Il Racconto dell’Ancella, la fertilità è in caduta libera. Gli ultimi dati italiani in merito sono davvero drammatici. Secondo lei perché non si fanno più figli?
Il costo della vita sta diventando sempre più alto, tanto che fare figli o farne di più diventa semplicemente troppo costoso. È molto costoso persino avere e mantenere un alloggio, che è una delle prime necessità dell’essere umano.
Centinaia di anni fa, quando eravamo solo contadini, si facevano tanti figli perché volevamo più braccia per lavorare la terra, ma quando migliaia di anni fa eravamo nomadi gli storici ci dicono che si facevano pochi figli. I gruppi nomadi facevano al massimo un bimbo all’anno, perché era difficile portarsi dietro un piccolo, dovevano considerare la fatica e il pericolo costituito dal doverlo portare fisicamente ogni giorno, tenendolo per mano o caricandolo sulle spalle, finché non fosse cresciuto a sufficienza.
Rispetto all’alba dei tempi è diventato possibile per le persone controllare le nascite e fortunatamente in molte nazioni oggi le donne posso decidere di educare se stesse, lavorare e non iniziare a fare bambini a 15, 16 anni.
Non dobbiamo nemmeno sottovalutare gli elementi chimici che ingeriamo ogni giorno. Secondo gli ultimi studi questo è l’elemento che sta abbassando la fertilità degli uomini cinesi. Ricordiamoci che la fertilità non dipende e non riguarda solo le donne. Ci sono tanti fattori da tenere in considerazione quando se ne parla in una società industrializzata come la nostra.
Secondo lei arriveremo al punto in cui diventerà necessario imporre più nascite alle donne, come avveniva nel suo Il Racconto dell’Ancella?
Credo che le persone facciano ciò che le faccia sentire rispettate. Quindi cominciamo a far sentire rispettate le donne e le madri se vogliamo che facciano più figli. In una società come la nostra in cui l’unica cosa che è rispettata sono i soldi, questo non avviene.
Il racconto dell’ancella è tornato al centro del dibattito letterario a decenni dalla sua pubblicazione, grazie alla serie TV che ha portato una nuova generazione di lettori e lettrici a immergersi nelle sue pagine. Cosa ci puoi dire del concetto di femminismo che incarna?
Ci sono ancora molte battaglie e molte discussioni a riguardo del femminismo e del suo ruolo nel romanzo. D’altronde quale movimento può evolvere senza una discussione continua al suo interno? Quei dibattiti nati negli anni ’70 continuano ancora oggi. Si sono evoluti femminismi diversi come correnti di pensiero originate da un’unica radice comune. Oggi ne esistono correnti differenziate sulla base dell’intersezionalità, delle etnie che ne prendono parte, persino legate condizione economiche delle donne in differenti nazioni e classi sociali.
Il femminismo degli anni ’70 può tornare utile anche oggi, in cui vediamo il mondo simile a quello degli anni ’30. Ci stiamo dividendo come allora su uno scenario politico polarizzato tra estremismi di sinistra e di destra. In un momento in cui siamo attratti dagli estremismi, vorrei consigliare la lettura di un libro intitolato The House of Government: è un testo dedicato agli inizi del movimento bolscevico. Racconta come il sogno di un mondo migliore e perfetto dei bolscevichi si sia trasformato in un regime. Il libro mostra quello che succede – soprattutto alle donne – quando la battaglia è vinta ma ci si rende conto che il mondo come è stato ricostruito non è ancora perfetto. Questo porta a notevoli tensioni.
In un periodo di così grande incertezza politica e sociale, cosa dobbiamo fare per evitare di riscoprirci come Offred “addormentati” in una società che svolta verso un futuro oppressivo?
Dormivo ed è così che ho lasciato che accadesse, pensa Offred nel romanzo. Questo accade in molti celebri esempi di speculative fiction del passato, da Huxley e Orwell. Come per molti miei libri, la speculative fiction e la fantascienza sono narrazioni che hanno a che fare con la consapevolezza data dalla storia. A che serve la storia quando si è scrittori? La storia racconta come si comporta la gente, ci ricorda come ci comportiamo di fronte agli eventi.
Cosa farà una persona straordinaria o una normale in una circostanza normale o in una straordinaria? Incrociando questi quattro fattori si hanno tutte le combinazioni che usiamo come scrittori quando immaginiamo un “cosa accadrebbe se…”
La maggior parte della storia che studiamo a scuola riguarda le persone straordinarie, ma io come scrittrice sono più interessata quello che fa la gente comune di fronte al normale e allo straordinario.
Sono molto interessata alla storia, come scrittrice e come lettrice. Nella mia libreria per esempio ho un’intera sezione dedicata a testi sulla peste nera. Mi interessa capire come la gente prenda le proprie scelte quotidiane e straordinarie. In realtà sono sempre più convinta che non ci siano poi così tante scelte che possiamo prendere in determinate situazioni.
Io credo che le persone leggano fantascienza e storiografia proprio per questo, per immaginare come ci comporteremmo in certe situazioni. Ci piace immaginarci coraggiosi e in grado di prendere decisioni giuste: probabilmente invece non ci comporteremmo così.
Cosa significa per lei essere un’artista?
Sono stufa di sentirmi dire da tutta una vita cosa debbo o non debbo fare, come artista. Anzi, uno dei primi e migliori consigli che mi sia mai data come scrittrice è stato: “non essere un’artista”.
Se qualcuno dice cosa fare a un’artista e lui lo fa, allora ci troviamo in un regime totalitario. Un’artista sa cosa deve fare, non ha bisogno di indicazioni. Per fortuna, dato che mio padre era un entomologo, sono cresciuta in mezzo ai boschi e non sono completamente “socializzata” (ride).
Come ha vissuto la traduzione della sua opera più recente?
Nel 1961 ho lavorato come sceneggiatrice TV, cinema e televisione e ho continuato a farlo negli anni ’70. Ho smesso di farlo solo perché in realtà è un lavoro di gruppo, è quasi come andare al campeggio estivo: se il tempo è buono e ti piace la compagnia, è semplicemente fantastico. Se però comincia a piovere e le persone con cui dividi la tenda sono antipatiche, può diventare un vero incubo. In quegli anni scrivendo per i media ho vissuto entrambe le esperienze. Per fortuna entrambi i team delle serie TV erano eccellenti. Ogni produzione televisiva e cinematografica è assolutamente imprevedibile: puoi avere ottimi ingredienti e avere un risultato disastroso e viceversa.
Non sono mancati elementi di rischio: la regista dei primi tre episodi di The Handmaids’ Tale non aveva mai diretto qualcosa di simile, aveva girato solo dei video musicali e ora invece è molto richiesta.
La produttrice di Alias Grace sognava di fare un progetto simile da quando aveva 17 anni. Bruce Miller, lo show runner di The Handmaids’ Tale, ha assunto un sacco di donne per la writing room della serie TV. Quando si presenta durante gli eventi è solito dire: ciao, sono Bruce Miller e ho un pene di troppo per il lavoro che faccio.
La protagonista Offred, interpretata da Elisabeth Moss, è molto diversa rispetto al libro. Ha un suo nome, una sua volontà, agisce attivamente, nel suo mondo da incubo c’è quasi della speranza. È solo per via del cambio di medium o c’è stata una volontà di “aggiornare” Il racconto dell’ancella?
Una parte del cambiamento è dovuto al medium televisivo: nel romanzo tutto succede nel mondo interiore del personaggio e ovviamente bisognava esternalizzare il processo, sfruttando le capacità recitative di Elisabeth Moss, i voice over…il resto si è dovuto sistemare.
Nella serie seguiamo anche molto di più altri personaggi che non posso avere spazio nel romanzo perché Offred semplicemente non sa cosa sia successo loro dopo il loro ultimo incontro.
In circostanze straordinarie, alcuni dei miei personaggi che erano ordinari sono divenute straordinari. Così come al contrario avviene per gli eroi della resistenza dopo la vittoria, che tornano a vite normali dopo aver combattuto valorosamente. Ho avuto il privilegio di incontrare tanti di loro, ma mi hanno sempre detto “prega di non aver mai l’occasione di diventare un eroe”.
Molti lettori di oggi dicono che Il Racconto dell’Ancella sembra loro possibile e non distopico. Come venne accolto nel 1985, quando apparve nelle librerie per la prima volta?
Quando lo scrissi venne accolto in modo molto diverso in varie parti del mondo. Per esempio in Inghilterra venne percepito come un racconto interessante ma assolutamente improbabile, mentre in Canada i lettori – che sono più nervosi – pensavano potesse accadere. Negli Stati uniti buona parte dei lettori si sono chiesti “quanto tempo ci rimane prima che divenga realtà?”.
Già allora potevano percepire che era questa la china che avevano preso come società, mentre in Europa non si riusciva e non si poteva pensare che accadesse una cosa simile. All’epoca c’era ancora la Guerra fredda e gli Stati Uniti erano il simbolo della democrazia, la prima linea di difesa. Non si voleva pensare che gli Stati uniti avessero questo lato poco piacevole e potessero mettere in pericolo la libertà che difendevano. Il Canada invece è sempre stata la terra dove scappare quando le cose andavano male negli States, quindi di queste storie ne abbiamo sempre sentite.
Cosa significa oggi essere la più celebre scrittrice canadese al mondo? È stato difficile per una donna approcciarsi al mondo letterario?
Quando ho cominciato a scrivere io in Canada, nessuno o quasi faceva lo scrittore nella nostra generazione. C’erano una manciata di scrittori di professione nell’intera nazione! Come scrittori, ci siamo dovuti creare persino le case editrici e i festival internazionali, sviluppare con le nostre mani una scena letteraria dove proliferare. Il Canada allora era una terra davvero inospitale per gli scrittori, ma c’erano anche dei lati positivi. Nessuno mi ha mai detto che non potevo scrivere perché ero donna. Quando dicevo che volevo essere una scrittrice la risposta più comune era una profonda sorpresa.
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Questo articolo è apparso in origine sul blog di Elisa, Gerundiopresente.
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