Le uscite più quotate del mese sono tutti bravi a consigliarle prima, mentre io arrivo dopo a mese concluso e a conti fatti, con i titoli esplosi con il passa parola o i cult nascosti nella loro piccola nicchia. In questa rubrica tiro i conti del mese letterario appena trascorso, elencandovi i titoli che, passato l’incanto della novità del titolo e del profumo della carta appena stampata, ho finito per sfogliare e leggere per davvero (talvolta per intero) a febbraio 2020.

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Il festival di Sanremo. 70 anni di storie, canzoni, cantanti e serate

Per motivi per me imperscrutabili – e non perché faccia la superiore snob che Sanremo non lo guarda, ma perché me lo sono sparata nella sua interezza, assistendo allibita a uno spettacolo godibile nonostante i tempi antitelevisivi, la regia abbozzata e sapete bene tutto il resto – quest’anno Sanremo è tornato ad essere Sanremo. Anzi. Da qualche anno è tornato in voga parlare del Festival a (s)proposito, anche grazie ai millennials che, a differenza dei predecessori, sanno prenderla sul ridere rispetto a scappare urlando Vade retro Satana! al primo accenno al riguardo. Ammettiamolo, siamo state generazioni un po’ emodrammatiche. Nonostante lo spettacolo televisivo non sia stato all’altezza del grandeur che il settantesimo anniversario del genere suggerirebbe, il Festival come entità ha aleggiato nell’aria per almeno una settimana dopo la sua conclusione. A supplire a questa mancanza celebratoria ci ha pensato Eddy Anselmi, un’istituzione festivaliera al pari del balconcino di Mollica, della scritta luminosa Totip negli anni ’80 e della guerra senza esclusione di colpi tra te e il sonno quando sono le 2 e ancora Rai 1 ti tiene in pugno non annunciando il vincitore. Se seguite Sanremo senza seguire Eddy Anselmi sui social, non seguite correttamente il Festival. Anselmi è l’esperto sottopanciato finale della Vita in diretta, l’otaku dell’Ariston, arbitro di infinite contese su giurie, televoto, stastiche che gossip dal dietro le quinte. Saggezza che ha infuso in quello che è il Morandini (o il Mereghetti, in base al team cinefilo di riferimento) del Festival. La bibbia di Sanremo ancora mancava, ma per fortuna DeAgostini vi ha posto rimedio, con un onestissimo prezzo di copertina. Stastiche, aneddoti, dati e date: amanti delle infografiche, tuttologi del Festival e curiosi della kermesse sono caldamente invitati a darci una sfogliata.

Space Opera

L’emozione e il senso di straniamento quando mi sono ritrovata tra le mani un romanzo tradotto in italiano con fascetta (rosa shocking) che lo descriveva come candidato allo Hugo Award (il più importante premio dato dai lettori di fantasy e fantascienza ai romanzi dell’anno). Italia, 2020: cose (mai) viste. Se già l’entry sanremese in testa all’articolo è stata provante per il vostro senso del decoro, non oso immaginare che reazione avrete quando vi rivelerò (tipo ora) che questo libro è un omaggio citazionista all’Eurovision Song Contest. La scrittrice Catherynne M. Valente è abbastanza matta da aver tentat odi rifarsi alla Guida Galattica per gli Autostoppisti, scrivendo un romanzo in cui le razze aliene senzienti dell’universo si sfidano all’Eurov… pardon, al Gran Premio Megagalattico per stabilire chi abbia accesso alle risorse e diritto alla sopravvivenza. Non è importante vincere: basta non perdere per non venir spazzati via dalla galassia. I destini della Terra, nuova arrivata al concorso (in pieno stile Italia con Gualazzi a Düsseldorf nel 2011), sono nelle mani dei due terzi di un trio glam rock inglese i cui fasti e i glitter sembrano ormai appartenere al passato. Non è per tutti – persino io da grande appassionata di SSF ed d’ESC l’ho trovato molto, molto ostico – ma gli appassionati dell’umorismo alla Adams e delle atmosfere sopra le righe dell’Eurovision farebbero bene a darci un’occhiata. Meno male che Lettere21 è abbastanza matta da averlo tradotto: traduzione a cura di Alice Zanzottera.

L’angelo dell’abisso

Frassinelli è casa editrice di spicco che, quietamente e senza dare troppo nell’occhio, ogni tanto qualche colpetto fantascientifico lo dà. Io, guastafeste nell’anima, son qui a urlarlo a gran voce, che a febbraio hanno pubblicato L’angelo dell’abisso di Pierre Bordage, tradotto da Christian Pastore.
Come ogni buon ciclo di fantascienza che si rispetti, ha una storia editoriale tormentata nell’italico suolo: il primo volume della trilogia L’Évangile du serpent venne pubblicato da Fanucci nel 2005 con il titolo Il vangelo dello sciamano ed è più o meno introvabile. Bordage però l’azzardo di partire dal secondo di tre forse lo merita e se la mossa di Frassinelli rientra un po’ nel classico novero di “pubblicare le cose fantascientifiche ma così a caso”, va detto che ha il merito di pescare nel mare magnum della SFF non anglofona. Il nostro, classe 1955 e passaporto francese, ha avuto un notevole successo presso i cugini d’Oltralpe, con copie vendute nell’ordine dei milioni.
Il contesto è quello apocalittico, ma per una volta è il continente statunitense ad essere caduto nel dimenticatoio. Il protagonista Pibe, dodicenne parigino rimasto senza casa e senza famiglia, deve cavarsela sotto i bombardamenti, senza casa e senza cibo, mentre nel vecchio continente tornano le guerre più vecchie di tutte: le crociate. Insieme a una banda di ragazzini scapestrati, Pibe tenterà un viaggio verso oriente, in Romania, dove si trova Arcangelo Michele, fondamentalista blindato nella sua roccaforte, il cui mito sconfina nella leggenda.

Città di morte

Rimaniamo in casa Urania con un’uscita rarissima per le linee editoriali attuali della collana fantascientifica italiana per antonomasia: un romanzo relativamente recente (fu finalista al premio Locus nel 2017), scritto da un’autrice americanocanadese (e tradotto da Giulia La Rosa) e inedito? Quale rara congiunzione astrale ha cagionato questo allineamento? Scherzi a parte, si spera di vedere più spesso romanzi come Città di morte sulla pagine di Urania. Di Company Town all’epoca dell’uscita nel mondo anglosassone se ne era parlato parecchio. Vorrei stuzzicarvi raccontandovi di minacce di morte provenienti da differenti linee temporali e guardie del corpo interamente organiche in un mondo di umani bioingegnerizzati, ma ricorrerò ma mezzucci più terra terra: è davvero difficile da mollare. È pensato con la precisione di un killer per farci venire voglia di consumarlo in un’unica sessione: ottimamente ritmato, scorrevole, appassionante. Ahimé io l’ho dovuto poggiare per dedicarmi anche ad altro, ma era da tempo che un romanzo così appassionante anche per chi non bazzica SFF pura non finiva sulle pagine di Urania.

Racconti sospesi nel vuoto

Andrea Maurizi e Marco Taddei curano per Atmosphere Libri un’antologia di racconti dedicata al padre nobile della letteratura giapponese moderna, sospeso tra malinconico fatalismo nipponico e quella punta di moralismo sociale così manzoniana. Questa raccolta però ci permette di incontrare un Sōseki diverso, più giovane, geograficamente e spiritualmente più vicino a quell’Europa che ne condizionerà la formazione, ma gli lascerà indelebili ricordi di uno dei periodi più difficili e tristi della sua lunga vita. Tra il 1900 e il 1902 Natsume Sōseki visse in Inghilterra come studente, nel periodo in cui il tardo romanticismo lasciava spazio al simbolismo. Questi sette racconti brevi hanno al centro luoghi, tematiche e leggende prototipicamente anglosassoni, ma filtrate attraverso la sensibilità nipponica di uno dei grandi nomi della letteratura novecentesca giapponese. In alternativa, rimanendo in Giappone e in campo antologico ma ottemperando all’assunto secondo cui la scrittura del Sol Levante sia delicatissima, potreste provare con un titolo più classico (e al femminile) come Storie di fiori di Yoshiya Nobuko, sempre edito da Atmosphere, di cui trovate la recensione qui.


Racconti

L’antologia fantascientifica e/o oggetto contundente del mese di lusso la pubblica Mondadori su Oscar Draghi, destando un certo malcontento tra quanti questi Racconti di Arthur C. Clarke li avevano già acquistati [ne so qualcosa, NdClod], in volumi distinti, su Urania negli scorsi mesi. Lettori di Urania, consolatevi: avete speso un po’ di più, ma chi arriva ora si cucca l’antologia di storie brevi di un grande padre della fantascienza anglofona come Clarke (cosceneggiatore di 2001: Odissea nello spazio, dice niente?) nel vituperatissimo formato a doppia colonna, che io non smetto di vituperare nella speranza che Oscar Draghi smetta di utilizzare. Uno scontro d’ostinazione tra titani. Sull’antologia non c’è molto da dire, tanto è onnicomprensiva: dai primissimi scritti (paginette amatoriali) a racconti brevi che dire iconici è essere riduttivi, fino al celeberrimo La sentinella, c’è tutto, ma davvero tutto quello che Clarke ha scritto in forma breve, a parte un pugno di titoli guastafeste che per questioni di copyright rovinano la festa. C’è tutto il possibile, ecco: oltre 100 racconti . L’edizione è a cura di Franco Forte e il volume comprende un approfondimento bibliografico finale.

I cariolanti

Oltre a scrivere con un ritmo ragguardevole, Sacha Naspini è l’autore che sembra sempre sul punto di diventare l’Autore del momento, di cui parlano gli addetti ai lavori e poi invece il pubblico no, o comunque meno del previsto. Chissà che I cariolanti non sia il titolo della svolta. In attesa di capire dove si generi questo corto circuito, a febbraio il ragazzo d’oro della scuderia E/o torna in libreria con uno scritto breve e brutale, che affonda nello stomaco come un destro ben piazzato, devastante come la fame che sovrasta ogni altro istinto e tende ad amplificare i peggiori. Il protagonista è fotografato in tredici momenti, tredici flash nella notte della sua vita, consumata nella miseria tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, tra miseria e durezza. E fame, una fame a cui si arrende tutto, facendo crescere malamente anche l’amore, regredendo quasi a una forma bestiale.

I gatti del Louvre

Uno legge gatti e Louvre nello stesso titolo e s’immagina micetti carini e opere del rinascimento italiano. Invece il tratto etereo di Taiyo Matsumoto e i colori delicati di Isabelle Merlet c’immergono in una storia di gatti antropomorfi che sono anima tormentata del museo che fu castello, raccontato nella sua anima diurna e turistica ma soprattutto nella sua faccia nascosta, notturna e ricca di segreti malinconici. Nel primo volume di questo dittico, capitolo dopo capitolo ci vengono svelati i segreti felini e umani che s’intrecciano in un unico racconto che passeggia con passo impalpabile tra surreale e magico. Bambine e gatti parlano con i personaggi dei quadri, entrano ed escono dai dipinti, mentre guide, guardiani e nemici con vibrisse li attendono silenziosi. Talvolta impalpabile ma mai inconsistente, Matsumoto sa raccontare un altro Louvre e non importa se esista davvero nella realtà della notte parigina o se sia visitabile solo nel tempo del sogno. Il primo volume l’ho divorato e attendo con impazienza il secondo, che arriverà a marzo 2020.


L’amante

La versione breve è che questa è la riproposizione a fumetti del classico di Marguerite Duras ambientato in Indocina nel 1929. Quella un po’ meno breve e forse più incisiva è che durante febbraio ho visto lettori di fumetti impazzire per questo titolo di Kan Takahama proposto in Italia da Showcase. Proposto interamente a colori e con lettura all’occidentale, L’amante condensa in 140 tavole una storia divenuta un classico letterario. Non sono riuscita a darci che poco più che un’occhiata, ma in effetti l’intensità era molto maggiore di quella della classica trasposizione da pagina a vignetta. Forse stavolta si è riusciti a distillare, più che semplificare, l’originale.


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