Ci sono concetti che una volta incrociati, magari per caso, rimango impressi nella mente, senza che si riesca a spiegarsi bene il perchè. Nel mio caso quel concetto è il nonluogo, termine citato quasi per caso durante una lezione di sociologia del primo anno di università e diventato nel tempo una fascinazione indelebile. Per la definizione rimando alla Treccani, ma per quanto ci servirà nelle prossime righe basta sapere che i nonluoghi sono luoghi tipici di questa fase della modernità, spazi di passaggio in cui non esistono legami tra chi li frequenta, quasi esclusi dalla nozione di tempo e spazio che vige al loro esterno: eccezioni nate da un approccio sociologico alla geografia. Boom (onomatopea della testa che esplode): stessa reazione avuta la prima volta che ho visto la copertina di Fuori dalle mappe. Un viaggio fantastico in luoghi inesplorati di Alastair Bonnet.
Il libro di Bonnet, pubblicato da Blackie Edizioni, in realtà supera il concetto di nonluogo per esplorarne di nuovi, come è lecito attendersi da chi ha fatto fulcro del suo lavoro la relazione tra individuo e spazio. Ci sono spazi perduti, geografie nascoste, luoghi d’eccezione e città morte, figli residuali di una moderna geografia totalizzante, che attraverso Google Maps ritiene di aver mappato tutto il mappabile, e di una cultura turistica che ci consentiva di arrivare ovunque e tornare a casa con i trofei necessari a testimoniare il nostro passaggio.
Questa proliferazione di conoscenza, caso raro in cui il suo eccesso produce controindicazioni, in cui i luoghi hanno assunto la tendenza a omologarsi e divenire identici su scala globale, ha generato in risposta un desiderio di fuga, una voglia d trovare rifugio, appunto, fuori dalle mappe, dove ancora esiste l’ignoto e l’inesplorato. [Piccola deviazione, ma le pillole di questo libro mi hanno riportato alla mente i meme delle stramberie su Street View.) D’altra parte, la geografia nasce in contemporanea all’attrazione umana per i luoghi fuori dal comune, sentimento ben comune a qualunque abitante di una qualunque periferia italiana, che si ritrova quotidianamente a spostarsi nel tragitto casa-lavoro da nessuna parte verso un’altra, per poi farvi ritorno.
Se il censimento e la sorveglianza di ogni centimetro quadro del pianeta, insomma, sembrano aver portato con sé il tramonto dell’esplorazione e della ricerca di quei luoghi finora sfuggiti all’occhio, sia esso umano o elettronico, Fuori dalle mappe si sforza di dimostrare che in fondo non è vero, basta cercare dove non si dovrebbe. Raccolti in otto macro-categorie, la prima volta che ho visto la copertina. Oppure il contrario.
Non è un caso che ad aprire il volume sia Sandy Island, isoletta di sabbia esistita (?) a circa millecento chilometri dal Queensland a partire dal 1876, data del suo primo avvistamento, e sopravvissuta su mappe e atlanti grazie ad autorevoli trascrizioni e conferme fino al 2012, quando una nave partita dall’Australia per tracciarne la conformazione finì per scoprire che ad attenderla, al posto dell’isola e della sabbia, c’erano solo onde e acqua salata. La non esistenza di un luogo fa parte anch’essa dell’esplorazione , mette in crisi le nostre certezze e alimentano la nostra immaginazione geografica. A volte, persino i luoghi perduti possono rimanere in bella vista sotto i nostri occhi, come Leningrado che lotta costantemente per sopravvivere a San Pietroburgo.
Un concetto che ritorna spesso in Fuori dalle mappe, e su cui i costanti ragionamenti di Bonnett quasi costringono a riflettere, è quello di confine, una riga simbolica di cui non vi è traccia sul luogo fisico, ma i cui effetti travalicano il pezzo di carta su cui è tracciato. È questo il caso del Nahuaterique, remota regione montana oggetto di dispute tra Salvador e Honduras e passata da un paese all’altro come parte di un accordo geopolitico, traghettando tuttavia gli abitanti in un limbo di noncuranza amministrativa, in cui la doppia cittadinanza è solo un’ulteriore beffa perchè raddoppia le fonti di malgoverno a cui sono sottoposti.
Altro caso emblematico è quello di Twayil Abu Jarwal, villaggio beduino nel deserto israeliano del Negev, forzato alla non esistenza dalle autorità statali attraverso la rimozione da qualunque mappa, l’inesistenza di cartelli che ne indichino la direzione al viandante e la sistematica distruzione delle baracche che lo compongono a colpi di ruspa. A volte i confini sono così sottili da risultare praticamente invisibili, altre sono tratteggiati a matita e mobili, come quelli che delimitavano l’area sotto controllo dell’Isis, altre ancora possono essere tratti di pennarello così spessi da misurare quasi 5 chilometri, fingendosi una terra di nessuno, come tra Guinea e Senegal.
I luoghi di cui si cerca di dimenticare l’esistenza, invece, sono spesso prove della fallibilità umana, come Wittenoom, cittadina australiana nata per supportare la locale miniera e da questa resa invivibile a causa dell’inquinamento. O Pripyat, la città più vicina a Chernobyl, tanto frettolosamente quanto tardivamente evacuata e ora reclamata dalla natura, in un tentativo di adattamento alle ostilità apparentemente meraviglioso, quanto problematico.
Tra le pagine di Fuori dalle mappe c’è anche un po’ di Italia (concetto tanto caro a Mollica e diventato bandiera della nostra Elisa) con Il Parco Archeologico dell’Incompiuto Siciliano a Giarre, agglomerato di opere pubbliche mai concluse così battezzate da un collettivo di artisti, che a Bonnett riporta alla mente la sua Newcastle, altrettanto inconclusa, celbrata in un bizzarro capitolo incentrato su un’isola spartitraffico verde stretta (o forse dimenticata) tra gli svincoli autostradali.
Al di là degli aneddoti, delle curiosità e delle stramberie, che comunque abbondano, quel che resta delle oltre 300 pagine di Fuori dalle mappe è lo sguardo di Bonnett, allenato a scovare l’ignoto anche laddove un satellite sembra aver già svelato tutto il visibile. Col suo stile leggero, quasi senza accorgersene, porta a spasso il lettore tra considerazioni sulla teoria anarchica di Bakukin applicata alle enclavi, un ripasso dell’indipendentismo comunista colombiano divenuto narcotraffico, previsioni geopolitiche di sopravvivenza al disastro climatico, senza farsi poi mancare una surreale pausa di riflessione sul ruolo extra territoriale del Porto Franco di Ginevra, un segreto in una nazione di segreti, di recente per altro protagonista di una spettacolare sequenza di Tenet.
Più che i luoghi e i nonluoghi, è lo sguardo di Bonnett che conduce Fuori dalle mappe, a guardare alla geografia con una curiosità nuova, a imporci a capire quale rapporto ci leghi al luogo, senza sottrarsi ai paradossi: le stranezze più esotiche possono trovarsi sulla strada che percorriamo ogni giorno, mentre un confine può essere al contempo una barriera da cancellare e un principio di autodeterminazione. Quando tutto quello che stiamo vivendo sarà finito, l’utilizzo di queste lenti sarà indispensabile per approcciarsi al turismo, anzi sarebbe meglio dire al viaggio, secondo un principio diverso, più di scoperta che di conquista.
Se ti piace quello che facciamo, puoi supportarci (o offrirci una birra) comprando musica, giochi, libri e film tramite i link Amazon che trovi negli articoli, senza nessun costo aggiuntivo.
Grazie!