Una storia si dispiega su un foglio. In un quadrante sono un ragazzo affacciato a una finestra che osserva la città. La città trema. La finestra scivola nel quadrante successivo e diventa la cornice di un quadro. Il quadro è un panorama di rovine.

La storia è un découpage fatto con vecchie fotografie. Sono un anziano signore che riordina le sue memorie – o ci sto giocando? – segnate dalla guerra. O sono un ragazzo che vive la devastazione e sogna uno stratagemma per fermarla? Forse, in questo sogno, mi vedo come sarò da vecchio: sto giocando con le memorie – o le sto riordinando? – del me giovane che sogna uno stratagemma per fermare la devastazione portata dalla creatura.

Il tempo è un foglio di carta che si piega e si ripiega infinite volte, forma un mandala dove ogni petalo è decorato da un disegno. I disegni sono ricordi. I petali si sfiorano, scambiandosi segni e significati. La ruota di un carretto è un ingranaggio cosmico che anima lo scorrere del tempo. Il disegno sulle ali di una farfalla è il profilo di un volto di donna illuminato dalla luce di un lampione.

Vedo un arco di pietra avvolto dall’edera. Ne sfioro i contorni, ora l’arco emerge in un altro ricordo e non è più un arco, ma una porta. Questa si apre su una piazza in rovina: vi entro da giovane, ne esco da vecchio. Nella piazza c’è un albero, su un ramo c’è un alveare, nell’alveare un migliaio di celle, in una cella una libreria. Prendo un libro, lo apro: è un’enciclopedia di cose e luoghi fantastici. Tra queste, c’è la creatura.

Ti ho visto danzare sulle macerie, divorare mondi ed ere. Il tuo passaggio segna la fine e l’inizio delle cose.

Ti ho inseguito a lungo nella mia psiche. Ho attraversato deserti, sostato nei templi, pregato nei cortili. Ho raccolto i frutti della conoscenza. Le orme che ho lasciato lungo il cammino nei miei ricordi formano un sigillo e, ora che conosco il tuo nome, posso rinchiuderti, Gorogoa.

Una storia e il suo autore si incontrano. Jason Roberts è un ingegnere informatico con nessuna esperienza di game design, ma con un modello di riferimento: Braid. Il puzzle-platform di Jonathan Blow (autore anche dell’ottimo The Witness. Ndr) non è solo il portabandiera della indie-wave. Braid è il responsabile di una presa di coscienza: il mondo si accorge che può esistere un modo più personale di fare videogiochi – legato a necessità comunicative dell’autore – e più artigianale, dove è sufficiente un piccolo gruppo di persone per dare alla luce un gioco. L’esigenza artistica spinge Roberts verso un cammino di autodisciplina: affina le sue abilità di programmazione, animazione e disegno per “estrarre l’opera dalla materia”.

La demo pubblicata nel 2012 gli vale numerosi riconoscimenti per il concept di gioco e per il lavoro artistico, ma lo sviluppo procede a fasi alterne, tra difficoltà economiche e periodi di sfiducia. È solo con le giuste motivazioni e l’impulso economico forniti da Annapurna Interactive che il gioco può finalmente essere completato e pubblicato.

Gorogoa è disponibile dal 14/12/2017 per le piattaforme iOS, Microsoft Windows e Nintendo Switch.



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1 Comment

  1. Una cosa che ho volontariamente omesso per economia del testo è la descrizione del deja-vu provato nel saltare di palo in frasca tra congegni astrusi e osservando un tale affastellamento di oggetti che sembrano alieni e allo stesso tempo familiari. Mi sono chiesto “dove le ho già viste queste cose?”. E poi m’è venuto in mente: nel Codex Seraphinianus!

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