2037, Giappone. A causa di una influenza canina, tutti i cani di una Prefettura vengono deportati e messi in isolamento su un piccola isola, adibita a discarica. Qui cinque cani particolarmente brillanti s’imbattono in un ragazzino, Atari Kobayashi, che giunge sull’isola per ritrovare il suo cane Spots…

La seconda incursione nel cinema animato, pardon, “in stop motion” di Wes Anderson, dopo la felice parentesi di Fantastic Mr.Fox di qualche anno fa, è un completo, totale, assoluto trionfo. L’isola dei cani è un capolavoro di comicità surreale, non sense, citazionismo, rigore formale e tecnica. In estrema sintesi: è un film imperdibile.

Anderson non rinnega sè stesso e il suo linguaggio non parlato, quello dei movimenti di macchina che seguono linee geometriche precise, dei piani sequenza, delle simmetrie, della divisione del film in capitoli, dei colori supersaturi, acquista ne L’isola dei cani un’importanza ancora più eclatante che nelle sue precedenti produzioni. A sovrastare il tutto però (e ad allontanare le possibili critiche relative ad un’ eccessiva autoindulgenza e all’ ostentata superiorità della forma sulla sostanza) c’è uno script esilarante con battute e gag (verbali e non) semplicemente perfette. I battibecchi tra i cinque cani protagonisti sono intelligenti e divertenti, speriamo che il doppiaggio italiano sia all’altezza delle voci originali dei tanti nomi celebri che Anderson ha coinvolto: Bryan Cranston, Bill Murray, Harvey Keitel, Frances McDormand, Greta Gerwig, Edward Norton, Jeff Goldblum e Scarlett Johansson

L’isola dei cani è un’unica, gigantesca metafora, proprio come La fattoria degli animali di Orwell: dentro c’è TUTTO, ma proprio TUTTO quello che sta succedendo oggi nel mondo, dal problema dello smaltimento dei rifiuti all’incomprensibile sospetto nel confronti della Scienza, dalla corruzione politica alle fake news, dalla propaganda di regime alla ricerca persistente di un colpevole, dalle masse facilmente manipolabili al deus ex machina che col suo coraggio e abnegazione prova a risolvere i problemi (pardon, quest’ultimo nel mondo non c’è o almeno fino ad ora non s’è visto…).

L’isola dei cani è anche un meraviglioso omaggio al Giappone e alla sua cultura, talvolta oscura, enigmatica e incomprensibile, a cominciare dal linguaggio (i personaggi umani nipponici spesso non sono doppiati di proposito e parlano nella loro lingua senza che sia dato allo spettatore -e agli altri personaggi del film- modo di capire esattamente cosa stiano dicendo): ci sono riferimenti a Kurosawa e Hokusai, ai tamburi (incredibile la colonna sonora) e alle stampe, alle cerimonie e ai giardini.

Certo, i più esigenti noteranno che questa atipica e frenetica favola ambientalista, questo viaggio formativo ricco di buoni sentimenti, è più lineare e didascalico rispetto alle precedenti opere del regista: in realtà la forza de L’isola dei cani sta proprio nella sua immediatezza ed accessibilità. Può diventare un perfetto volano per scoprire il cinema di Anderson per chi non lo conosce ancora, è un gustoso pastiche per tutti i fan affezionati ed è un ottimo strumento per far discutere genitori & figli durante auspicabili visioni collettive.
Iniziate a contare i giorni che mancano all’uscita del film…



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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