Black Mirror, la serie antologica creata da Charlie Brooker che si occupa degli effetti collaterali dovuti all’abuso della tecnologia, torna sugli schermi connessi in una nuova veste espressiva. Per quest’anno Netflix ha infatti pensato di realizzare e rilasciare un singolo episodio/film caratterizzato da una curiosa modalità interattiva. Bandersnatch (David Slade, 2018) – questo il titolo dell’episodio – è un esperimento a metà strada tra il lungometraggio e il librogame (racconto a bivi) che contempla per lo spettatore la possibilità di scegliere, a fronte schermo, tra due opzioni possibili al fine di procedere con la storia e veder sviluppare gli eventi secondo propria indicazione. Bandersnatch vanta un numero di combinazioni narrative che si aggira attorno al trilione e pare che, a seconda delle permutazioni, l’episodio possa passare da un minimo di 40 a un massimo di 150 minuti. Nonostante siano previste diverse possibilità conclusive, si stima che i finali siano di fatto solo cinque e che sia facile incappare in veri e propri game over che riportano il fruitore ad alcuni check-point, snodi narrativi già superati nei quali poter effettuare scelte alternative e giungere così a uno degli epiloghi ufficiali.

Sebbene la trovata della piattaforma sia senza dubbio divertente, è chiaro che non ci si trovi di fronte a una novità assoluta nel campo dell’intrattenimento, e non solo quello relativo ai media intrinsecamente interattivi – dove l’evoluzione a bivi appare oggi una pratica piuttosto superata – ma anche quelli geneticamente passivi, in cui un coinvolgimento maggiore dello spettatore, comunque, non garantirebbe un intrattenimento in grado di soverchiare lo storytelling nudo e crudo. Ergo, Bandersnatch non è un videogame, perché con esso non condivide la natura attiva del gioco: si sceglie, ma non si aguzza l’ingegno, non ci si misura con l’azione (fisica o mentale), non ci si mette alla prova. Si può “perdere” (tempo), in modo del tutto aleatorio, ma non si può “vincere” e non ci si può superare, perché se l’intervento dello spettatore è molto ridotto – la scelta discrezionale non solo non è totale, ma nemmeno multipla, piuttosto è binaria – appare anche, nella totalità della storia compiuta, singolarmente irrilevante. Il tipo di fruizione, perciò, resta sul versante della ricezione, quella di un racconto semplicemente più esteso (in larghezza).

Resta da capire se, in termini narrativi, esso possa offrire qualcosa in più rispetto a un episodio o a un classico film. In linea di massima, personalmente, propendo per il no.
Bandersnatch è senza dubbio un prodotto sulle prime intrigante, tuttavia, esaurita la curiosità iniziale, pur nella sua complessità strutturale, il confronto con la storia potrebbe non risultare tanto sorprendente. Se ciò accade è perché, appunto, proprio sul versante narrativo, la promessa di un coinvolgimento all’altezza dello stato dell’arte e della stessa serie Black Mirror non sembra davvero mantenuta.

La vicenda in cui il programmatore Stefan Butler/Fionn Whitehead si dimena per realizzare il suo videogame basato su un librogame – simile al film interattivo che lo spettatore sta seguendo – per quanto astuta non appare ben strutturata e sviluppata. L’aspetto più invitante di questa vicenda a scatole cinesi, ossia la crescente paranoia del protagonista sull’essere manipolato da un’entità sovradiegetica (lo spettatore), purtroppo non è stata né approfondita né sfruttata per osare di più. Perciò, le diverse declinazioni della storia, sebbene piuttosto variegate per genere e dimensione metatestuale, restituiscono nell’insieme un’esperienza monocorde e frustrata da un’inconcludenza compositiva. Oltre la narrazione, lo spettatore ha il naturale bisogno di cogliere un senso che vada al di là della storia, che assegni all’opera una posizione significativa nel contesto in cui appare.

Per essere l’episodio di una serie che ha sempre avuto molto da dire sull’abuso della tecnologia e sulla distorsione (spaziale o temporale) della realtà, Bandersnatch non sembra fare più del minimo sindacale. A meno che Netflix non abbia sfruttato la cosa per registrare le preferenze dei suoi clienti, sfruttando i canali audiovideo dei dispositivi, al fine di realizzare un’offerta sempre più mirata e soddisfacente. In quel caso sarebbe un ottimo episodio, in cui la paranoia di Stefan suonerebbe come un inquietante avvertimento…



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