First Cow

La frontiera americana, come ogni genesi, esercita un’influenza sostanziale rispetto a ciò di cui racconta le origini. Ogni grande impero ha bisogno di un mito fondativo, da riscrivere ogni volta che si presenti la necessità di cambiare la sua natura e allo stesso tempo affermare che è sempre stata quella, immutabile, sin dalle origini.

È da qualche tempo che c’è voglia di cambiare gli Stati Uniti, soprattutto nel genere western. Per cambiare ciò che l’America è oggi, bisogna inevitabilmente tornare ai cercatori d’oro, agli indiani, ai bisonti e agli avamposti di frontiera.

First Cow cerca le radici dell’America a partire dal presente, da una piccola rimanenza storica scoperta per caso da un cagnolino. Ci costruisce sopra una storia grandiosa ma di magnitudo irrilevante, perché il nuovo film della regista Kelly Reichardt si occupa di personaggi ai margini della Storia, almeno per chi l’ha scritta in precedenza.

Oltre alla mucca protagonista titolare del film – anche lei avventuriera a modo suo, dato che è il primo bovino a mettere zoccolo in Oregon – al centro della scena ci sono due figure che solitamente rimarrebbe ai margini. Una per i tratti somatici cinesi, l’altra per una fisicità e un’indole all’opposto di quella richiesta agli spregiudicati cacciatori di pelli e scalpi che spostano verso Ovest la “civiltà”.

First Cow

Sentirsi a casa e al centro della scena

Descriverlo come un film delicato è corretto ma non sufficiente a raccontare la straordinaria forza visiva che First Cow ha nel narrare ciò che in un western sembra fuori posto. Le parole arrivano dopo: prima c’è Cookie (John Magaro) un cuoco che vede una piccola lucertola in difficoltà perché ribaltatasi e, d’istinto, la capovolge delicatamente. Poi c’è l’incontro King-Lu (Orion Lee) un uomo nudo nascosto tra il fogliame, inseguito da un gruppo di bellicosi russi con cui ha litigato perché lo hanno accusato di furto.

Il resto del film rafforza queste due fugaci scene e la perfetta sintesi dei due protagonisti che contengono. Due coloni che rubano il latte dell’unica vacca presente in Oregon, sì, ma per farci dei dolcetti. Uno perché soffre per la vita agra anche nel rancio a cui è costretto, l’altro perché è già preda del mito americano, anche se gli Stati Uniti ancora non esistono: arricchirsi, sfruttare la propria chance, godersi una vita tranquilla.

First Cow tratteggia un’amicizia spirituale tra due reietti a cui la storia (già classista e già ingiusta) non può concedere una vittoria. Lo fa al suo posto un film meraviglioso, che li riposiziona nella fondazione degli States, insieme a popolazioni indigene (i cui discendenti hanno preso parte alle riprese), europei, donne e persino una mucca. Dolcissima, ma simbolo crudele del classismo: come dice King-Lu, è più nobile lei di loro.

Il western sta diventando dolce?

Reichardt sussurra la sua rivoluzione, fatta di paradossi (una mucca trasportata per continenti affinché il governatore da bravo inglese possa bere il tè con un goccio di latte), ironia e una complessità culturale ed etnica che racconta un’America ben più variegata del dualismo indiani e cowboy. Accomunata da un bisogno trasversale di sentirsi a casa, al sicuro.

First Cow è solo l’ultimo (ma tra i più belli) di una serie di western che raccontano sensibilità e delicatezza nella frontiera statunitense, la loro disperata esistenza e la loro condanna a perire mentre la frontiera avanza. Penso al sottovalutatissimo I fratelli Sisters di Audiard, ma anche al recente News of the World di Paul Greengrass con Tom Hanks, il primo film spiritualmente affine all’era Biden. Non è solo la pressante necessità di riscrivere un inizio in cui finalmente ci siano tutti. Sembra esserci anche sete di comprensione, affetto. Anche se nel mezzo della violenza fondativa.

First Cow verrà distribuito in Italia in esclusiva da MUBI sulla propria piattaforma streaming, a partire dal 7 luglio 2021.



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