Qual è il primo passo verso l’inclusività, l’accettazione del diverso, il progresso? È la conoscenza oltre il giudizio tranchant – fondato sulla parzialità dello sguardo e la morale – è il rifiuto del culto del pregiudizio che sembra proteggerci dai problemi, ma che ci tiene isolati, confinati in certezze che in realtà sono limiti. La nostra “casa” può diventare una prigione, tanto che per entrare in contatto con gli altri, evadere, diventa un dovere. Altri che più sono lontani – fisicamente ma anche culturalmente – più possono riempirci l’esistenza, rendercela meno dolente, migliorarla. Sembra essere questo il tema – classico ma anche attualissimo visti i tempi che corrono – dell’ultimo bel film di Paul Greengrass, Notizie dal Mondo (2020), appena rilasciato su Netflix.
Tratto dal romanzo di Paulette Jiles News of the World (2016), il film di Greengrass ripercorre il viaggio del capitano Jefferson Kyle Kidd (Tom Hanks), reduce di guerra, temprato dalla conoscenza e impegnato a divulgare la buona e la cattiva novella nel Texas post-secessione – frammentato nell’identità e restio ai cambiamenti – costretto a una deviazione intrapresa per condurre la giovane Johanna (Helena Zengel), strappata alla famiglia tedesca d’origine e cresciuta dalla tribù indiana dei Kiowa, presso gli zii a Castroville.
Il viaggio di Jefferson e Johanna, in direzione delle loro terre d’origine, a ritroso sui loro passi, li condurrà – attraverso l’ostilità dei simili e la solidarietà dei diversi – a casa, una casa che per entrambi è divenuto un luogo freddo della memoria da scaldare con un rinnovato focolare.
Distante dalla frenesia istantanea e dallo scontro viscerale delle avventure greengrassiane, Notizie dal Mondo ritrova nella flemmatica e confortevole epopea western il senso della (ri)costruzione a seguito dell’eterna fase di assestamento americana che – a più riprese e soprattutto in anni recenti – piccona la democrazia a colpi di pseudo patriottismo e fake news. Una notizia, oltre che informare, dovrebbe – in un paese che si dichiara e vuole essere autenticamente egualitario – stuzzicare l’empatia e coltivare la fiducia, affinché la partecipazione sia edificante e non smantellante.
In questo senso, come mostra Greengrass, l’abbondanza offerta degli Stati Uniti, che va dall’eterogeneità del territorio al melting pot culturale, può offrirsi come luogo ideale per uno sviluppo che – come mima Johanna a un certo punto del film – tutto coinvolge e non si esprime esclusivamente nella linearità di una direzione univoca. La deviazione è scoperta del nuovo, ma è anche riscoperta del familiare, e in quanto tale serve ad arricchire mappe e aggiornare schemi mentali.
In questo caso specifico la deviazione è molteplice: è quella diegetica del Capitano che tenta di riportare alla sua presunta casa Johanna (ma anche a quella da lui abbandonata). È metatestuale, ossia quella del più classico dei generi cinematografici (il western) rivisitato nell’ottica moderna dell’insolito corrispondente nomade che importa la notizia intrattenendo, informando e scuotendo le coscienze dell’audience. E infine è autoriale, quella di un regista che si allontana dalla sua comfort zone per battere luoghi narrativi inesplorati.
Insomma, dietro l’accomodante prevedibilità di una storia tanto solida quanto riciclata – che con poche variazioni continuiamo ad apprezzare dai Sentieri Selvaggi (1956) di John Ford al Logan (2017) di James Mangold – si nasconde un’opera di raro nitore che, con mirabile precisione e semplicità, riesce a mettere insieme i tópoi del cinema di frontiera, la stringente attualità e la forza dei legami oltre la condivisione del sangue, dell’etnia e del credo.
Un western imperturbabile e dal grande afflato contemporaneo che si lascia ammirare e fa riflettere, non poco.
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