Esordisce oggi una nuova rubrica – che potrebbe anche rimanere un esperimento singolo, chissà – in cui due nostri redattori chiacchierano tra loro di un film che hanno entrambi visto. La pellicola di oggi è Io sono Vera, esordio al cinema di Beniamino Catena con Marta Gastini, Anita Caprioli,
Davide Iacopini, Paolo Pierobon.

Claudio: Ciao Elisa!
Do io il via a questa recensione epistolare di Io sono Vera, pellicola d’esordio sul grande schermo di Beniamino Catena, che in carriera ha anche il ruolo di direttore della fotografia per un corto di Luca Guadaganino, collegamento che non ti lascia mai insensibile, lo so. Io sono ancora fresco di visione e fatico a riordinare le idee. Tu che l’hai visto qualche giorno fa, che giudizio hai maturato di questo esordio?

Elisa: Mi hai rubato l’informazione a cui tenevo di più, maledizione!
Dunque: non posso definirlo un buon film, ma rispetto ad altri titoli italiani fatti più con amore che con denaro (mettiamola così), ho trovato che ci fossero la voglia e le intenzioni giuste. Per quanto mi riguarda preferisco di gran lunga vedere un film così ambizioso che poi perde un po’ il filo e un po’ la direzione, senza però disunirsi, che produzioni davvero pigre come 4 metà di Martino Coli, una delle ultime uscite filmografiche italiane su Netflix. A dispetto del nome altisonante della piattaforma streaming, non è che poi lì girassero così tanti soldi più che in questo film, ma oltre ad essere mal fatto e mal recitato, era un rimpastone di cose viste mille volte.

Io sono Vera invece osa persino la fantascienza, anche se in chiave un po’…new age? Esistenzialista? L’ho visto proprio perché ero curiosa di vedere dove andasse a parare con il genere. Tu come lo hai trovato sotto questo aspetto?

Io sono Vera

Claudio: Scusa, in realtà speravo di darti modo di parlare comunque del Guada!
Tornando a Io sono vera, a fine visione mi sono reso conto che il film va a toccare delle corde che di sicuro non sono le mie. Sono sempre abbastanza affascinato, da buon lettore di fumetti, dal concetto di multiverso, realtà parallele e altri scherzi dimensionali che provocano strane sovrapposizioni. Mi rendo conto però che è l’aspetto più speculativo quello che trovo interessante, mentre in questo caso Catena vuole parlare d’altro.

Ho visto una sua intervista in cui collega la scrittura della sceneggiatura a due eventi, un momento di approfondimento sulle stesse tematiche che anche io trovo affascinanti, e un lutto personale. Questo l’ha portato a esplorare il lato più umano dell’evento dimensionale (o sovrannaturale, non saprei come definirlo) e mi sembra che lo faccia con le idee ben chiare. Il fatto che queste idee non si sovrappongano alle mie non posso certo considerarlo un difetto: è lontano dai miei gusti, ma sotto quel punto di vista l’ho trovato efficace. Il grosso limite della produzione credo sia un budget risicato, per cui cerca di fare cose grandi, toccando temi grandi, ma con poche risorse, e necessariamente si trova a fare dei sacrifici.

Il più evidente è l’effetto digitale a fine film (è un orpello, nessuno spoiler), che in fondo sarebbe anche trascurabile, ma altrettanto significativo per me spettatore è stato il limite della componente italiana del cast. Buona parte dell’investimento credo sia stato destinato alle riprese in Cile, che mi pare possano contare anche su un cast più efficace, oltre ad essere scenograficamente più spettacolari.

Ora però sono curioso: come l’hai avvertito tu da frequentatrice più abituale della fantascienza?

Elisa: La mia impressione iniziale confermata poi dalla visione è che c’erano idee sufficienti per girare un corto o mediometraggio. Vedendo il film ho avuto l’impressione di una storia che a tratti si dirada, perché deve coprire un minutaggio sproporzionato rispetto alle cose da dire. Talvolta il film si dilata eccessivamente. Certe derive estetiche non funzionali alla narrazione le reggono bene film che hanno le risorse necessarie per darti qualcosa da vedere.

Sulla trama in sé – ovvero la strana sparizione di una ragazzina connessa in qualche modo ad uno sconosciuto in Cile che comincia a sognarla e la sua conseguente, improvvisa apparizione due anni più tardi come donna – sono meno ottimista di te. Una riflessione sul tema della morte che non voglia vestirsi di toni luttuosi è evidente (e fresca), però viene sempre un po’ da chiedersi quale sia il punto della storia, senza necessariamente chiedere una spiegazione in merito.

A posteriori è sempre facile puntare il dito, ma la trama di Io sono Vera risulta un po’ sconclusionata non tanto per i temi che affronta, ma per come è costruita. Ti faccio un esempio concreto: a un certo punto del film Vera riceve un regalo che segna un passaggio importante del suo rapporto con un altro protagonista, perché un po’ la mette alla prova e un po’ finalmente vuole credere in lei. L’importanza del regalo ci viene mostrata in un flashback subito precedente alla scena. Se però questa fosse stata piazzata all’inizio, quando ci viene mostrata Vera bambina, la scena del regalo sarebbe stata più…vera?

Sulla tua considerazione riguardo al cast, sono d’accordo. Che sorpresa è stata vedere spuntare all’improvviso Marcelo Alonso, attore cileno habitué delle pellicola di un regista che amo moltissimo, Pablo Larraín. Diciamo che il confronto tra l’interpretazione scarna ed essenziale di Alonso e il resto del cast non è lusinghiero per gli italici talenti, ecco.

Io sono Vera

Claudio: Sì, probabilmente mi trovo a interpretare il ruolo del recensore buono: ho avuto per lunghi tratti la tua stessa impressione di essere di fronte a un film narrativamente un po’ sconclusionato, ma mi sento di garantirgli un “bonus esordio ambizioso”. Catena si è lanciato in una pellicola che poteva risultare DAVVERO disastrosa e invece alla fine qualcosa di buono è riuscito a portarlo a casa. Con ogni probabilità, anche per questioni di budget, sarebbe stato molto più efficace un corto o mediometraggio come tu suggerivi, ma qui dovremmo entrare in un altro discorso che gira intorno all’attenzione rasente lo zero che viene abitualmente dedicata a queste produzioni. E allora forse da regista posso capire che sia meglio mandare in sala un film con dei problemi, ma in cui qualcuno può cogliere idee e buon intenzioni, rispetto a un corto che vedranno i soliti quattro gatti.

Qui forse però sto uscendo fuori traccia ed è meglio che tenga queste considerazioni per un nostro futuro libro sul cinema nel formato dell’intervista reciproca, come da tradizione.

Elisa: Non potevo che essere io la recensora cattiva: mi disegnano così.

Concordo con la necessità di avere un lungometraggio per avere visibilità e commerciabilità, ma sarebbe davvero il caso di trovare un’idea abbastanza sviluppata prima di fare il salto. Dato l’impegno economico che una distribuzione in sala comporta e la scarsa attenzione e il pochissimo spazio esistente per il cinema italiano (specie per gli esordienti) sarebbe auspicabile portare avanti idee molto solide, forti, in grado di suscitare entusiasmi e attrarre l’attenzione in maniera positiva.

A questo proposito, pur non essendo un film esaltante o memorabile, da occasionale frequentatrice di proiezioni di piccoli film italiani (nei circuiti festivalieri e in sala) voglio sottolineare che Io sono Vera è un titolo con una certa perizia e una visione interessante di un genere da noi quasi mai praticato. Considerando il tipo di produzione, ci muoviamo su livelli decisamente più alti della media che, duole dirlo, è abbastanza imbarazzante.

In Italia abbiamo un piccolo bacino di autori, qualcuno che percorrere la strada del cinema commerciale con una visione e con grandi capacità e poi un mare magnum di nomi che nemmeno lavorano e aspirano a diventare onesti mestieranti, il che è tragico. Manca quasi totalmente la fascia media, ci sono pochissimi nomi interessati ai generi, che pure tradizionalmente nel nostro paese sono stati trampolino di lancio di tanti. Ben vengano dunque nomi come quello di Catena.

Io sono Vera



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