Ray Kroc, venditore di frullatori dell’Illinois, è un cinquantenne molto motivato ma con troppi fallimenti alle spalle. Un giorno s’imbatte nel ristorante gestito dai fratelli Dick e Mac McDonald, che si sono inventati un modo per fornire cibo gustoso a prezzi contenuti e in tempi rapidissimi. Kroc ha un’illuminazione e vede il potenziale della formula: dopo aver convinto con fatica i fratelli ad affidargli il compito di creare nuove affiliazioni, inizia a trasformare Mc Donald nel brand di ristorazione più celebre del mondo…

Il problema coi bio-pic, la cui valenza e forza narrativa sono spesso oggetto di dubbi e discussioni, è che funzionano solo se c’è una storia interessante da raccontare e se chi decide di farlo, è capace di trasformare l’ordinario in straordinario. Purtroppo, la scalata al successo di Ray Kroc, diretta da John Lee Hancock (che deve avere una certa predilezione per questo sottogenere cinematografico, visti i precedenti Alamo, The Blind Side e Saving Mr.Banks) non raggiunge nessuno dei due obiettivi.

La storia di Kroc è quella di un “perseverante” commerciale, che dopo aver provato e fallito per tutta la vita a rincorrere il sogno americano, se lo trova servito su un piatto d’argento, grazie all’ingegno e alla ingenuità di due fratelli californiani, che dopo aver inventato la Ruota, non riescono (o non vogliono) a farla girare. Tutto il film è totalmente, completamente, pervicacemente incentrato su Kroc e la sua determinazione ad avere successo. Nessuno dei personaggi che lo circondano (la moglie, interpretata da Laura Dern, la coppia di fratelli Mc Donald che hanno il volto degli eccelsi John Carroll Lynch e Nick Offerman) condivide col protagonista più di qualche sequenza. Il peso così ricade tutto su un gigantesco Micheal Keaton, che bissa per impegno e bravura la performance che due anni fa gli permise di stupire il mondo con Birdman.Peccato che ovviamente il doppiaggio italiano azzeri gran parte del fascino della sua interpretazione.

Purtroppo però The Founder è poco più di questo. La sceneggiatura di Robert D. Siegel si limita allo stretto necessario, enfatizzando come la fortuna sia l’elemento fondamentale anche nelle storie di chi “si è fatto da solo”, visto che tutte le buone idee del protagonista vengono indotte o proposte da persone incontrate per puro caso (i fratelli, il direttore finanziario, i primi gestori dei locali). Colpisce l’assenza di una qualsivoglia contestualizzazione storica: curioso, visto che il periodo trattato è stato foriero di grandi cambiamenti negli Stati Uniti.

Quella dei Mc Donald è una crescita organica, veloce e rappresenta un unicum nella storia della ristorazione e dell’imprenditoria in generale, ma questo spunto non viene particolarmente sviluppato né dallo script, né dalla piattissima regia di John Lee Hancock, che imbrocca una sola sequenza artisticamente valida (nonché una delle poche inventate di sana piana, quella del campo da tennis) e che prova a colpire al cuore solo durante la breve scena che vede Kroc richiedere il divorzio alla moglie, non più “ai suoi standard”.

Un bio pic che non osa, non pone e non si fa domande, che può soddisfare chi avesse la curiosità di sapere com’è nata una delle aziende più grandi del mondo ma che in fondo risulta insipido e pesantuccio, proprio come i panini di cui parla…



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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