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WHO HAS TIME FOR TEARS?

L’enorme successo di Silent hill 2 porta all’immediato sviluppo di un terzo capitolo della serie. Così, nel 2003, esce Silent Hill 3, che, seguendo tout court la filosofia del “cavallo vincente non si cambia”, conserva la struttura ludica del prequel e ne ripropone pedissequamente l’estetica.

Questa operazione di riciclo stride con l’approccio narrativo ed emozionale utilizzato nel gioco, che nasce dalla sensibilità di Kazuhide Nakazawa ed è totalmente diverso da quello sperimentato in precedenza. Il direttore artistico in carica, infatti, sceglie di affidare il ruolo di protagonista a Heather, un’adolescente della porta accanto, semplice e non particolarmente avvenente, capace di regalare uno scorcio di vibrante umanità alla cupa poetica della Collina Silenziosa.

Con i suoi occhioni nocciola e un visino costellato da lentiggini, Heater risulta una tela perfetta su cui pennellare l’orrore attraverso un’ampia gamma di espressioni facciali, a cui corrispondono altrettante emozioni schiette, realistiche. Tutto ciò si concretizza per mezzo di un attento motion capturing, che lascia emergere la fragilità, la confusione e la paura sincera della ragazza, la quale, nonostante la sua innocenza, si trova intrappolata nei tormenti di Silent Hill.

Scoprendo gradualmente la storia del suo passato e superando situazioni drammatiche (sia sul piano reale che su quello surreale), Heather matura, trovando infine la forza per prendere in mano la sua vita e combattere un destino avverso, legato alle vicende del primo episodio. In tal senso, il gioco risulta un’originale rilettura in chiave survival horror del romanzo di formazione, capace di trasmettere una sensazione mista di malinconia, dolcezza e strisciante inquietudine, con livelli di pregnanza pari a quelli dei due prequel.

Si tratta di un obiettivo raggiunto anche grazie alle musiche di Akira Yamaoka, storico sound designer della serie, che sottolinea adeguatamente i passaggi salienti dell’avventura con ballate malinconiche o interludi alternative rock, graffiati dalle voce melodica e straziata di Mary Elizabeth McGlynn.

Contemporaneamente a Silent Hill 3 viene sviluppato un secondo progetto associato al brand, gestito dal medesimo gruppo di creativi, il Team Silent, che è diretto, stavolta, da Suguru Murakoshi. Inizialmente pensato come uno spin-off della serie, il prodotto finisce per essere commercializzato nel 2004 sottoforma di quarto episodio ufficiale, con il nome di Silent Hill 4: The Room. La natura di side project si palesa sia nella struttura ludica che nel tono della narrazione, entrambi piuttosto distanti dalla formula collaudata in precedenza.

L’interno di un appartamento esplorabile in soggettiva fa da collegamento a vari livelli autoconclusivi, da attraversare secondo le tradizionali regole del survival horror in terza persona, restituendo, così, un’esperienza modulare e dal ritmo incerto, lontana dal senso di continuità proprio della trilogia originale. La trama, invece, cerca di esplorare i misteri legati a Silent Hill e vede il protagonista, Henry Townshend, rimanere inspiegabilmente rinchiuso nella succitata abitazione, che permette di accedere a varie zone della città fantasma, tramite una voragine apertasi su un muro. Investigando le diverse aree, Henry si troverà inghiottito in un limbo in cui si mescolano passato e presente, vita e morte, e dove i culti aberranti di Silent Hill si sovrappongono ai barbari omicidi commessi da un misterioso serial killer.

A metà tra l’horror psicologico e il thriller noir, Silent Hill 4: The Room è un’interessante variazione sul tema portante della serie, che paga, però, il dazio di essere stata promossa a episodio canonico, deludendo molti fan per via del suo approccio sperimentale.

A inficiare il successo del gioco contribuisce pure una confezione audiovisiva poco brillante, probabilmente frutto di una certa stanchezza creativa da parte delle mestieranze di Team Silent, stressate dallo sviluppo contemporaneo di due titoli analoghi.

Questo articolo è tratto da Players 14, che potete scaricare gratuitamente dal nostro Archivio. Potete leggereonline  la prima parte di questo speciale qui, e la seconda parte qui.



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Piero Ciccioli

Coniuga da anni la sua professione di ricercatore scientifico a quella di articolista e saggista specializzato in videogiochi, cinema d’exploitation, horror, fumetti e nei più disparati prodotti di entertainment d’origine nipponica. Nutre una viscerale predilezione per tutto ciò che è weird e sogna di radere al suolo una riproduzione in cartapesta di Tokyo, vestito da Godzilla.

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