E’ indubbio che Il videogioco indipendente sia una delle novità più significative del settore degli ultimi anni. E certamente la sua importanza è destinata ancora ad aumentare con il crescente supporto diretto del pubblico tramite il crowdfunding e la rinnovata attenzione dei produttori di hardware verso i piccoli sviluppatori. Salvo rari casi, comunque, l’attenzione dei media occidentali è stata incentrata soprattutto sull’indie gaming nostrano, nonostante molti generi di quest’ultimo siano riconducibili all’epoca d’oro del videogioco giapponese e titoli come Cave Story abbiamo sicuramente influenzato la scena.

Ciò è dovuto ad una diversa concezione dell’indie all’interno delle due culture. Indipendente da noi vuol dire essenzialmente qualsiasi prodotto che non ha dietro una major. Teoricamente quindi anche una software house di medie dimensioni rientra nella categoria. In Giappone, invece, nella maggior parte dei casi (ma non sempre), l’universo del videogioco indipendente è legato a quello più ampio dei Doujin, vale a dire singole persone o circoli molto ristretti di autori che realizzano a livello amatoriale pubblicazioni o lavori audiovisivi. L’opera, la cui tiratura come è facilmente immaginabile è estremamente limitata, viene poi venduta all’utenza a eventi come il Comic Market o, più raramente, in forma digitale via internet.

Trattandosi di un vero e proprio canale alternativo rispetto all’industria del videogioco nipponica, gli sviluppatori indie non ricevono nè il medesimo spazio nella pubblicistica specializzata nè tantomeno hanno accesso alle attuali possibilità di finanziamento dei loro colleghi occidentali. La barriera linguistica rende inoltre ancora più difficile qualsiasi già improbabile tentativo di esportazione del prodotto.

Le prime traduzioni in lingua inglese di titoli indie giapponesi sono state quindi eseguite da gruppi di appassionati. Dopo l’esplosione del movimento in occidente, però, compagnie come Nyu Media, Playism, Rice Digital e altre hanno cominciato a localizzare ufficialmente alcuni dei giochi più appetibili ai fan degli anime o di generi di nicchia. Questo sicuramente porterà ad un maggiore interesse dell’autore nipponico a rendere disponibili i propri titoli anche all’estero e a partecipare attivamente alla scena globale del videogioco indie. Lo scambio culturale potrebbe inoltre diventare sempre più reciproco: Playism nel suo sito giapponese distribuisce infatti anche produzioni occidentali.

Ad ogni modo, in questa prima parte dell’articolo trovate elencati videogiochi indipendenti giapponesi mai localizzati in inglese, ufficialmente o meno. Preciso che li ho scelti in base alla loro capacità di illustrare, almeno in parte, l’enorme varietà che esiste all’interno del settore, senza applicare criteri qualitativi o storici.

Direi di iniziare partendo da una tipologia di videogioco giapponese, l’eroge, nota anche in occidente. E in effetti il genere erotico è stato e continua ad essere, non solo a livello indie, uno dei maggiormente diffusi per computer nonchè uno dei più affascinanti per l’insieme di sottoculture e feticismi nipponici che ritrae.

Invece di mostrare stralci di visual novels, cioè il medium eroge per eccellenza, ho optato per Splatter School e Tifa-tan x2, due titoli arcade giocabili anche senza comprendere la lingua.

Il primo riprende Splatterhouse in un contesto Ero-guro (erotico-grottesco) e con venature Ryona, vale a dire una tipologia di feticismo decisamente perversa basata sul far soffrire fisicamente e psicologicamente la vittima designata.

Il secondo, una sorta di remake di Spartan X (aka Kung-Fu Master) è viceversa degno di nota in quanto il contenuto erotico non è relegato a scene tra un livello e l’altro, ma dinamicamente visualizzato a schermo durante le mosse speciali della nostra eroina o nel caso quest’ultima venga molestata dai nemici.

La presenza di Tifa ci dà anche l’occasione per parlare di un altro elemento che contraddistingue la scena doujin in generale e che ne rende ulteriormente complicata la localizzazione, vale a dire l’utilizzo illegale di materiale protetto da copyright. Questo espone teoricamente l’autore a citazioni giudiziarie, sebbene per motivi di immagine il fenomeno venga largamente ignorato dalle compagnie giapponesi.

Nei video qui sotto potete vedere un platform game che ha come protagonista Hatsune Miku, figura centrale di una famosa, almeno in terra nipponica, serie di giochi musicali.

Ma a volte l’omaggio si spinge ben oltre, con seguiti o remake di titoli mainstream. Gunners Heart, ad esempio, riprende lo sparattutto Skygunners inserendo anche la possibilità di giocare in coppia.

Non potevano naturalmente mancare i giochi di ruolo. Su questo genere si potrebbe scrivere un intero libro, vista la popolarità di Rpg Maker in giappone. Tuttavia in questa prima parte dell’articolo mi concentrerò unicamente su tre titoli.

One Way Heroics è un rogue-like che ci costringe a pianificare con cura le nostre azioni visto che lo schermo si muove lateralmente in maniera automatica come accade in alcuni platfom game.

Princess shade è un altro titolo che meriterebbe quanto prima una traduzione. Si tratta di un action rpg i cui combattimenti ricordano uno sparatutto per il numero abnorme di proiettili che volano a schermo.

Knight of Knights è un action rpg tridimensionale con i livelli generati casualmente e peraltro giocabile anche in cooperativa.

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Alberto Li Vigni

Appassionato di videogiochi da oltre 20 anni, ha scritto nel settore per alternative-reality e multiplayer. E' attualmente uno degli editors di unseen64, un sito dedicato alla conservazione di beta e di titoli mai rilasciati.

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