In una recente intervista, alla domanda inerente il perchè non abbia mai fatto film “sociali” o “di denuncia”, il neo 80enne Woody Allen ha risposto laconicamente che quel genere di film invecchia molto velocemente, perchè la società è in continua evoluzione. Quelle che non cambiano mai o, meglio, sono sempre diverse e uguali a sè stesse, sono le interazioni tra esseri umani ed il loro modo di rapportarsi al mondo, alla vita e alla morte. Questi sono gli argomenti che il regista e sceneggiatore Allen ha sempre affrontato e che in Irrational Man trovano una sintesi efficace.
Irrational Man ammicca a Match Point, anche se quel film era più riuscito e decisamente meno solare e (apparentemente) leggero di questa curiosa e verbosetta comedy tinta di giallo. La storia di Irrational Man ruota attorno ad Abe Lucas (uno smagliante e smagliato, letteralmente, Joaquin Phoenix) professore di filosofia afflitto da uno spleen permanente, che, arrivato in una nuova scuola, diventa oggetto delle mire sessuali di una collega insoddisfatta (Parker Posey) e di una studentessa modello (Emma Stone, bravissima). Proprio la frequentazione di quest’ultima, peraltro fidanzata, inizia a smuovere qualcosa nell’animo arido e pessimista del professore che, durante un pranzo, ascolta casualmente una storia tragica che lo spinge a prendere una decisione “irrazionale” che avrà pesanti conseguenze sul suo microcosmo.
Come spesso capita quando frequenta il genere giallo, già affrontato svariate volte nella sua carriera e sempre con declinazioni diverse, ad Allen non interessa tanto lo svolgimento dello stesso (il film è un thriller anomalo, in cui non c’è mistero né suspense ed in cui il colpo di scena è eufemisticamente prevedibile) quanto analizzare le reazioni dei personaggi coinvolti di fronte ad un fatto eccezionale ed imprevedibile. Così, mentre l’annebbiata mente del professore diventa sempre più lucida mano a mano che gli eventi si succedono, in quella integerrima e concreta della studentessa si affastellano dubbi e incertezze. Purtroppo, se i due protagonisti sono molto ben cesellati, attorno a loro c’è il vuoto e anche il personaggio della Posey pare piazzato lì solo per fungere da contraltare a quello della Stone.
Allen ha sempre un bersaglio da colpire: stavolta tocca alla Filosofia, adeguatamente sbertucciata, nel suo proporre modelli esistenziali fattibili in teoria ma risibili se contestualizzati nella vita reale. Epifanico in questo senso è la lezione che Abe impartisce agli studenti ed è difficile non pensare che dietro alla cattedra non ci sia Allen stesso: qui c’è l’Allen migliore, cinico e caustico, quello per il quale destino, fortuna e caso hanno un’importanza fondamentale nel definire le quote di felicità e sconforto che toccano a tutti noi.
Verboso, ostentatamente intellettualoide, apparentemente superficiale ma, tra le righe, dotato di una certa densità, Irrational Man non aggiunge (né toglie, ovviamente) nulla al bilancio di una carriera cinquantennale. La convinzione che se Allen girasse meno film questi verrebbero molto meglio resta, ma in fondo lo amiamo anche per (o nonostante) questa sua ostinata sovrapproduzione…
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