Fortunatamente gli anni di Training Day sono lontani. Era il 2001 quando Antoine Fuqua portò al Festival di Venezia il suo (brutto) film, che regalò poi il secondo Oscar a Denzel Washington.

A distanza di quindici anni tocca ai suoi Magnifici sette chiudere la Mostra, quarantotto ore dopo l’onore di inaugurare il Festival di Toronto. E finalmente, dopo anni, anche a Venezia si chiude in pompa magna.
Fuqua richiama Denzel Washington per guidare la squadra dei sette eroi che combattono per una libertà che non è la loro, in questo remake del classico hollywoodiano di John Sturges ispirato a sua volta all’idolatrata opera di Akira Kurosawa.

I codici visivi e narrativi sono ovviamente aggiornati in linea con i trend del nuovo secolo. Il cattivo che vuole depredare e sfrattare un villaggio per costruirvi una miniera ha il viso bianco e annoiato di un moderno capitalista occidentale. E fra i magnifici c’è naturalmente spazio per diverse etnie. Perché (forse) la solidarietà parla un linguaggio universale.

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Antoine Fuqua rilegge il genere a modo suo, girando un western che non butta a mare una certa deferenza cinefila, ma che non soffre la sudditanza nei confronti di opere o stili del passato.
I magnifici sette asciuga lo slancio che consacra a eroi privi di difetti i suoi protagonisti. Tutti, o quasi, hanno una ferita: dietro il piglio spaccone l’anima resta umana e terrena. Certo, Fuqua non vuole (o non sa) indagare il passato dei suoi eroi. Ma sarebbe stato importante farlo?

Il film scorre pieno di divertimento appassionato, di voglia di mostrare. Scorci di una natura inospitale ma bellissima – come il western ci ha insegnato, polvere da sparo, dialoghi che trasudano un machismo più insicuro rispetto a quello di cinquant’anni fa. E soprattutto un’adesione inattaccabile alle regole del racconto: la tensione cresce mentre la squadra si forma, lo spettatore si affeziona incondizionatamente ai magnifici, la resa dei conti si staglia nitida all’orizzonte narrativo, e la lunga battaglia finale arriva proprio quando te l’aspetti, all’alba di una notte di dubbi.

Puro entertainment, insomma, forse non consistente in termini di spessore, ma onesto anche nel giocare con gli stereotipi.Belle come devono essere le scenografie di Derek R. Hill. Le musiche del compianto James Horner e di Simon Franglen sono perfetto condimento della diegesi. Per il resto, Fuqua costruisce I magnifici sette sul suo cast, inaspettatamente ben amalgamato. Denzel Washington attraversa lo schermo con la self-confidence cui ci ha abituato da anni, ma è un ottimo leader per la squadra degli interpreti. Chris Pratt si diverte, Ethan Hawke dosa aggressività e insicurezze con sorprendente sensibilità. Vincent D’Onofrio scolpisce la recitazione con credibile durezza, e anche il resto di questi magnifici ne esce a testa alta, da Manuel Garcia-Rulfo fino alla star coreana Byung-hun Lee e a Martin Sensmeier.Peter Sarsgaard è un cattivo spietato, tutto ombre. Forse troppo, ma come sempre è bravissimo. In un western così, dopotutto, un cattivo dalle debolezze umane sarebbe stato fuori luogo.



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