Ci sono momenti che restano incastrati nella storia collettiva. È il 28 gennaio del 1986 quando il Challenger si sbriciola in una nuvola di fumo bianco e denso nel cielo della Florida. Sono passati solo 73 secondi dal momento in cui lo shuttle si è staccato dal suolo per attraversare l’atmosfera terrestre. Quei 73 secondi consegnano un martedì qualunque alla Storia.

Nell’istante immediato in cui la Storia si scrive, prima di monopolizzarne la data ad usi futuri, prima che i rapporti si invertano sui libri ancora da scrivere, l’evento storico è ancora solo un sfondo ingombrante davanti a cui si muovono le vite quotidiane di coloro che non passeranno alla Storia, inconsapevoli comparse di una recita planetaria di cui nessuno conosce ancora il copione. Challenger, di Guillem López, si svolge tutto in quell’interstizio, in quei secondi, minuti, ore in cui la Storia non ha ancora divorato le storie che l’hanno portata a compiersi.

Sono 73 i capitoli di Challenger, come i secondi che separano il lancio dalla nuvola di vapore, 73 diversi personaggi che si muovono sotto il cielo della Florida in quel martedì 28 gennaio 1986. Un romanzo corale, a cui prendono parte le esistenze sparse tra Miami e l’isola di Merritt che ospita la base di cape Canaveral, le cui vite si intrecciano e si sfiorano in quel mosaico di eventi che porterà all’incidente, o che dall’incidente avrà origine.

O forse non sono capitoli, ma una raccolta di 73 diversi racconti, 73 microstorie con un protagonista diverso che condividono lo stesso cielo, e che si svolgono contemporaneamente in una giornata che ciascuno di loro ricorderà per lo stesso motivo e per motivi lontanissimi tra loro, tutt’al più collegate da un filo sottilissimo di eventi. O ancora, Challenger è un collage di 73 vite accomunate dalla contemporanea esistenza nello stesso luogo e nello stesso, ma non necessariamente nello stesso universo. Tutte e 73 contemporaneamente vere e false.

Prendendo in prestito una definizione dei Wu Ming, Challenger è un oggetto narrativo non identificato.

[…]ci vorranno dei mesi prima di scoprire la vera causa dell’incidente, supponendo che ce ne sia solo una. La cosa più probabile è che sia stata una concatenazione di coincidenze minime a generare un errore del sistema. Succede anche nella vita, cose piccolissime, inspiegabili, a volte perfino magiche, che scatenano gli eventi più comuni e anche quelli eccezionali.

Pur avendo vinto nel 2016 il premio Kelvin come miglior romanzo di fantascienza pubblicato in Spagna, mi vene difficile limitare la portata di Challenger alla sola fantascienza – anche se a differenza di altri editori più snob, Eris non si è posta il problema di nascondere la natura sci-fi dietro una patina più accettabile per i lettori a cui piace darsi un tono.

È vero, c’è una immane creatura marina che sfugge da un laboratorio subacqueo sotto gli occhi malinconici e orgogliosi di uno scienziato. C’è un mostro che vive nelle fogne di Miami in un tripudio di suggestioni da New Weird di VanderMeer, interrotte brutalmente dai suoi spuntini cadaverici forniti da un killer del KGB. C’è un portale verso una dimensione abissale e raggelante che si apre nel mezzo di un’autostrada e provoca uno schianto indecifrabile per la polizia. E poi ci sono quei riferimenti casuali e gli accenni di passaggio agli universi alternativi, che costringono a chiedersi se davvero tutto si sta svolgendo nella stessa città, sullo stesso pianeta, nella medesima dimensione, o se Guillem López abbia scritto un libro ambientato in 73 universi diversi.

Eppure, allo stesso tempo, nelle sue 400 pagine abbondanti Challenger mantiene molto più spesso lo sguardo rivolto in basso, verso le microscopiche esistenze che affollano Miami un martedì qualunque del 1986, che in direzione delle stelle. Frammenti di vite normali che si incrociano e si sfiorano, in un mosaico che continua a non avere un senso logico a prescindere dalla distanza da cui lo si guarda. Per chi ha fede tutto succede per un motivo, per chi non ne ha invece è sempre meraviglioso osservare nei panni dello spettatore privilegiato il perfetto incastro del meccanismo dell’esistenza, migliaia di azioni che prese singolarmente non hanno senso e che continuano a non averlo anche quando i loro effetti si legano ed intrecciano vicendevolmente. Come in Crash – o se preferite come nell’episodio dei Simpsons 22 Short Films About Springfield, nel caso abbiate riferimenti culturali un po’ più alti, come me.

Le cose importanti succedono e basta, apparentemente senza motivo o finalità. Cosa si nasconde dietro agli eventi che compongono la realtà? Niente? È inquietante sapere che tutto è in mano al caso. La realtà quotidiana è una rete di fatti insignificanti a cui nessuno presta attenzione; troppo veloci per l’occhio, ma determinante nel definire ciò che ci fa essere quello che siamo.

Niente ha un senso, ma tutto è importante. E l’espediente narrativo di Lopez è lo strumento ideale per dare spazio alla polifonia degli abitanti di Miami, come in una serie TV fatta di micro-episodi in soggettiva in cui anche un accendino e una rana in porcellana possono ritagliarsi la loro manciata di pagine da inatteso protagonista. D’altra parte, se López riesce a trovare spazio anche per il più collaterale dei personaggi, cucendogli un posto nel mondo tanto insensato quanto fondamentale, esattamente come per tutti gli altri, perchè lo stesso destino non dovrebbe toccare a un oggetto inanimato che ha attraversato un continente e svariati decenni?

È solo dopo lo spaesamento delle prime pagine, quando i punti di vista si sommano l’uno all’altro senza che al lettore sia dato modo di azzardare una visione d’insieme, capitolo dopo capitolo dopo capitolo, che emergono quelle linee narrative che scorrono sotterranee alle pagine. Personaggi, situazioni e luoghi si fanno ricorrenti e inizia il gioco dei rimandi mentre qualche pezzo placidamente inizia a trovare posto sul piano.

Poi però aumentano i buchi incolmabili, gli spazi vuoti occupati da personaggi così marginali da non avere alcun peso nell’economia della storia, sempre che a López interessi davvero narrare una – e una sola – storia, in fondo. Perché proprio quando potrebbe sembrare che tutti i fili stiano per riannodarsi può irrompere dal nulla un capitolo in cui la nervosa attesa del palo fuori dalla banca diventa l’occasione per riflettere sulla natura del sogno o sulla forza di volontà come possibile forza motrice del reale. Tutto ciò a non più di una manciata di pagine di distanza da una riflessione profondamente nerdica circa l’apparente, ma comprovata impossibilità di modificare le conseguenze delle proprie azioni, riassunta nella consapevolezza che “qualcuno doveva pur scoparsela Sarah Connors”.

Chi può dire cosa è reale? Dove cercare i confini dell’esistente?In ciò che può essere pensato, in ciò che si conosce e si sperimenta , nella pecezione, nei sentimenti?

Con una serie di finte e contro-finte degne della più nobile tradizione della ali brasiliane, López spiazza continuamente il lettore lasciando intendere una direzione per poi imboccarne di colpo un’altra opposta. E benché nessun indizio, mai, nell’intero romanzo, sostenga l’eventualità di una conclusione che leghi tra loro tutte le trame disperse tra le pagine, anni e anni di abitudine alla narrativa del grande colpo di scena risolutore sono difficili da mettere da parte. Sfido chiunque tuttavia a rimanere deluso di fronte al maestoso 73esimo capitolo finale, punto di decollo del lirismo in prosa di Lopez.

Challenger è un romanzo che non assomiglia a nessun altro dei romanzi già letti nella propria vita. Proprio per questo va dato merito ad Eris, per averlo saputo prima trovare e poi proporre in una confezione impreziosita dalla cartina dei luoghi del romanzo, dalle illustrazioni inquietanti ed oniriche di Sonny Partipilo in apertura di ogni capitolo, e dalla traduzione affilata ed ispirata di Francesca Bianchi.



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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