Dici Bad Robot, evochi J.J. Abrams, una delle poche entità hollywoodiane capaci di dare una piega precisa a un progetto pur limitandosi a benedirlo nelle vesti di chi ci caccia i soldi in qualità di produttore. D’altronde nomi grossi da sparare con font ragguardevole in locandina Overlord davvero non ne ha altri: Julius Avery è un regista con un solo film alle spalle (Son of a Gun) e alla redini di un progetto di cui supervisiona giusto la direzione filmica, il codazzo di attori con cui s’interfaccia sono le classiche belle facce di belle speranze, viste qua e là in tanti progetti precedenti più o meno interessanti, ma a cui davvero in pochissimi saprebbero dare un nome e cognome al primo sguardo.

Poco male, anzi benissimo: se c’è un prodotto di cui a Hollywood c’è disperatamente bisogno sono questo genere di progetti originali, pensati per il cinema, indipendenti da altri franchise e dalla fama delle star che vi militano. Ai miei occhi di cinefila Overlord sembra una rielaborazione al netto della componente supereroistica di Captain America, passato attraverso lo stampino del “progetto alla Cloverfield”. Chi meglio di me conosce il territorio ludico contemporaneo mi assicura invece che esiste più di un titolo recente la cui trama ha parecchi punti in comune con il film, tanto da poter ipotizzare almeno una fonte d’ispirazione indiretta.

Quel che è certo è che Overlord testimonia ancora una volta come Abrams e il tuo entourage abbiano un’incredibile sensibilità nel tastare il polso del cinema contemporaneo, nell’anticiparne ritmo e trend. Il film si apre con una lunga sequenza mozzafiato di lancio col paracadute oltre le linee nemiche, con tanto di apertura dello stesso inceppata. Da Mission: Impossible – Fallout a Hunter Killer, la spettacolarità di questo tipo di sequenza in caduta libera (riportata in auge qualche anno fa dal bellissimo spezzone con tanto di fumogeni rossi in Godzilla) è stata un vero tormentone nel 2018 e Overlord non ha mancato all’appuntamento.

Con un’apertura così adrenalinica è un gioco da ragazzi per il film introdurre il suo vasto parterre di personaggi, falcidiarne un paio e catapultare lo spettatore nella Seconda guerra mondiale.
La vera sorpresa è quanto il film si appassioni a questo taglio militare e storico: se vi aspettate che gli zombie spuntino fuori a stretto giro, siete destinati a rimanere delusi. Se dovessi segnalare una categoria a rischio delusione, citerei forse proprio quella degli amanti del horror: il film infatti è pauroso il minimo indispensabile, ma soprattutto si prende tutto il tempo necessario a introdurre le dinamiche tra i vari personaggi, affinché il pubblico si affezioni a loro.

Il cast è divisibile in due grandi macrogruppi: da una parte si fronteggiano i competenti e irredimibili, già segnati dalla guerra. Al nazista sadico e stupratore di turno si contrappongono nelle file degli alleati un cecchino cinico di lunga esperienza e un caporale dal passato oscuro (Wyatt Russell, il nome sui cui punterei per ulteriori sviluppi di carriera) e dalla dotazione per interrogatori tosti tutt’altro che regolamentare.

A riequilibrare lo scenario e abbassare prepotentemente le probabilità di riuscita della missione ci sono l’afroamericano protagonista (Jovan Adepo) – un non violento originario di Haiti e incapace di imbracciare correttamente un fucile – un gracile ragazzo ebreo e una giovane francese preda delle mire dei soldati tedeschi che occupano il suo paesino.

Cielblanche è l’anonimo villaggio francese cruciale per l’esito della missione: gli alleati infatti confidano in questa squadra per smantellare l’antenna radio costruita sopra la chiesetta locale. Se non verrà messa fuori uso, i tedeschi potrebbero riuscire a riorganizzare per tempo le proprie truppe e fronteggiare l’attacco a sorpresa del D-day. Proprio nell’edificio il classico scienziato pazzo, nazista e razzista di turno ha portato avanti il progetto di creazione di un Reich Millennario, dagli esiti potenzialmente ben più temibili della copertura radio per le truppe tedesche.

A differenza di quanto pronosticato in partenza, i collegamenti narrativi con l’universo di Cloverfield sono praticamente nulli. La costruzione del film segue però lo stesso modello di successo, ereditandone irrimediabilmente anche le debolezze. Se Overlord infatti è una macchina da guerra come il precedente 10 Cloverfield Lane, lo è anche nella misura in cui risulta un prodotto costruito, rigorosamente incastrato nei suoi ingranaggi per ottenere movimenti di millimetrica precisione. Se il risultato è comunque gradevole, sembra mancargli una certa umanità, un afflato vitale, un’anima.

 

Tutti i professionisti coinvolti ne progetto sembrano procedere con competenza sì, ma anche con distacco. Overlord è orfano di qualcuno che lo consideri la propria creatura e che ci metta la passione necessaria a renderlo vivido. Come già riscontrato in passato tutto funziona bene, anche troppo: in molti scambi tra attori (soprattutto in quelli introduttivi a bordo dell’aereo militare) si percepisce chiaramente quanto le battute stiano distribuendo i personaggi sulla scena e assegnando loro un compito. Overlord rimane un film gradevole, elegante nell’attualizzare un subgenere datato ed estremo come il pulp al gusto contemporaneo e alle esigenze commerciali, ma a cui è davvero difficile affezionarsi.

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Questo articolo è apparso in origine su Gerundiopresente, il blog dell’autrice. 



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