Alla seconda visual novel propinatami, mi è ormai chiaro che il capo redattore mi odia [Nego, ovviamente! NdClod]. Certo, mi sarei potuto rifiutare, ma quando tocca le corde giuste c’è poco da fare:

“Hai voglia di recensire Norman’s Great Illusion?”

“Bah, non so… è uno di quei giochi senza gioco. Lo sai che mi smosciano.”

“Ti ho già detto che è una visual novel di critica anti-liberista?

“You son of a bitch, I’m in.”

Norman si alza ogni mattina e sa che dovrà correre più veloce dello sfruttamento capitalistico. Norman lavora come ingegnere in una non ben definita megaditta, in una non ben precisata cittadina. Norman sa — o ben presto si accorge — che, per quanto possa impegnarsi, il suo conto in banca non può che finire al verde. Può ribellarsi, oppure no; può scioperare, oppure no; a prescindere di cosa faccia, Norman è un oggetto con una data di scadenza stampata addosso, al raggiungimento della quale un nuovo Norman entrerà in gioco. L’esperienza sta tutta qui, nella ripetizione della stessa giornata, con le stesse azioni e le stesse preoccupazioni. Tuttavia, è nelle piccole variazioni che la narrazione procede, ovvero nelle scelte che l’avventura pone al giocatore in determinati momenti e che conducono a sette conclusioni diverse. C’è altro? In effetti no.

Ora, io non credo di poter giudicare Norman’s Great Illusion per ciò che non è — e confesso che per arrivare a questa conclusione ce ne ho messo un po’, perché anche a me sarebbe piaciuto qualcosa di diverso, che so, un’avventura alla Papers, Please o un Bolshevik Total War. Quello che posso fare è giudicarlo quello che è, e Norman’s Great Illusion è una visual novel con uno storytelling liofilizzato al punto da diventare esempio pedagogico, cosa che lo fa assomigliare più a un saggio breve che non a una vera e propria novel interattiva, anche se bisogna ammettere che, in quanto a profondità d’analisi, siamo più su un livello da temino di scuola. 

I minigame sono certamente discutibili e richiedono una notevole capacità di “astrazione”, ma devo confessarvi che, considerate le risorse a disposizione, la loro funzione stressogena la svolgono a dovere. Mi riferisco alle quick time tabelline, rappresentazione metaforica del lavoro di Norman, e al QTE dell’automobile: in entrambi i minigiochi, il fallimento si traduce in un portafoglio ancora più magro, mentre la riuscita porta a… beh praticamente nessun vantaggio. 

È innegabile che Norman’s Great Illusion sia un prodotto grossolano tanto nei contenuti quanto nell’estetica, ma a meno di cinque euro, perché negarsi un giro anche solo come time-filler? 

 



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