Da quando la cittadina in cui viveva, Empire, è fallita insieme alla miniera che ne sosteneva l’economia, portando addirittura alla cancellazione del CAP nel giro di sei mesi, Fern vive dentro il furgone sopravvivendo grazie a lavori stagionali e saltuari. La sua è una vita on the road, dettata dall’indigenza economica, ma che finisce per diventare una scelta e ricalcare la sua indole anticonformista e anti-sistema. Il suo pellegrinaggio è ciclico, scandito dalla stagionalità lavorativa che la conduce in un magazzino Amazon o alla raccolta delle barbabietole, ma anche dal clima o dalle dritte ricevute dagli altri membri della nazione nomade in perenne movimento che Fern incontra nei parcheggi e con cui condivide tappe ed esperienze.

Premiato a Venezia con il Leone d’Oro e in corsa agli Oscar per il miglior film, la nuova pellicola di Chloé Zhao (in arrivo su Disney+ il 30 aprile) si muove a cavallo tra fiction e documentario, con soli due attori professionisti in scena, la sempre ottima Frances McDormand, anche lei in odore di statuetta, insieme a un David Strathairn pacato e sotto traccia, accompagnati da persone che interpretano se stesse, come accadeva nel precedente (e bellissimo) The Rider

Nomadland
Frances McDormand in the film NOMADLAND. Photo by Joshua James Richards. © 2020 20th Century Studios All Rights Reserved

L’osservazione della vita fuori dall’ordinario, in molti sensi, di Fern è al contempo esplorazione di un fenomeno e metafora di un’epoca. Forse è un caso che tutto parta dalla caduta di Empire, ma come ogni volta che un impero cade i primi segnali arrivano dalle periferie. E sono le periferie più estreme quelle dei panorami mozzafiato di Nomadland, luoghi dove il nomadismo è un ritorno alla vita dei padri fondatori, risposta alla frantumazione del mercato del lavoro come unica inevitabile fine della flessibilità, e al contempo rivendicazione della libertà più assoluta e totale concepibile. 

Nel nomadismo di scelta e di necessità di Fern e dei suoi compagni di viaggio, che periodicamente saluta e reincontra nei luoghi di lavoro o nei ritrovi, c’è il paradosso del rifiuto di uno stile di vita che è al contempo causa della rovina economica che li costringe a un’esistenza on the road, e fonte di sostentamento, per la costante necessità di manovalanza stagionale a basso costo che produce. Così una vita condotta all’interno di un furgone diviene rivendicazione, una presa di posizione con tanto di guru a cui votarsi e da cui ricevere consigli. 

Nomadland

Agli occhi esterni, di chi ignaro si muove sul confine del crollo del sistema senza che il suo mondo sia ancora finito giù nel baratro, Fern e gli altri nomadi risultano anomalie, incomprensibili allontanamenti dal binario di una vita ordinaria. La sola presenza di Fern genera apprensione, cura, pudore, fastidio e tutta una serie di attenzioni dovute al suo ruolo di imprevisto nel sistema che gli adulti provano a nascondere, ma che esplode nell’ingenua curiosità di una sua ex studentessa incontrata in un negozio che le chiede se sia una homeless. Houseless preciserà Fern: una distinzione lessicale in cui c’è il senso tutto il film. 

Benché meno potente di The Rider, Nomadland è il film perfetto per diffondere anche tra il grande pubblico il culto per il lavoro di Chloé Zhao, prima del suo passaggio al mainstream col futuro film degli Eterni targato Marvel. La cineasta di origine cinese si muove a suo agio tanto tra i panorami sconfinati e lunghissimi degli States, quanto tra i non-professionisti che porta in scena al fianco di mostri sacri, alternando uno sguardo più cinematografico a uno più documentaristico per guidare inconsciamente l’occhio dello spettatore.

Forse pesa l’influsso della major se temi e riflessioni arrivano meno forti rispetto alla pellicola precedente, ma non c’è dubbio che Chloé Zhao sia stata bravissima nel mantenere quasi intatto il suo sguardo sulla frontiera, graziato per altro da una Frances McDormand che riesce a infondere al film un tocco inatteso di dolcezza. Si sussurra che pioveranno statuette e non ne saremmo sorpresi se andasse davvero così. 

 



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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