Se Memento, thriller psicologico di un Nolan ancora agli albori della sua carriera, invece della sua storia cupa avesse raccontato una storia d’amore ambientata in Europa, sarebbe stato Nonostante tutto di Jordi Lafebre. Ok, mi rendo che questa affermazione messa qui, a inizio recensione, è un po’ difficile da afferrare, perciò riavvolgo il nastro e riparto dall’inizio: d’altra parte, chi partirebbe mai dalla fine per raccontare una storia?!
Nonostante tutto è l’ultima graphic novel di Jordi Lafebre, fumettistica catalano già autore di Un’estate fa, sempre per i tipi di Bao Publishing: questa volta, però, l’oggetto della sua narrazione non è più una stagione della vita, bensì una vita intera, anzi due, quelle di Ana e Zeno.
Quando li incontriamo per la prima volta, in apertura di volume, i due sono entrambi sulla sessantina. Lei sta riprendendo le misure con la sua vita, dopo averne passato buona parte nei panni della sindaca della cittadina in cui vive da sempre; lui, di contro, è appena tornato e ha l’aria dello scapestrato che nella vita ne ha viste molte.
Da quel punto di incontro, Lafebre avvia un meccanismo narrativo che funziona in due direzioni contrapposte, e scorre al contrario rispetto a ciò a cui siamo abituati. Come in Memento, appunto, i capitoli numerati da 20 a 1 riavvolgono gli eventi portando lo sguardo del lettore ogni volta un po’ più indietro nel tempo, ricostruendo il complicato amore tra Ana e Zeno un tassello alla volta, ma a ritroso.
La complicazione, per chi legge, ma immagino anche per Lafebre che scrive e disegna, è data dal fatto che la narrazione procede in due direzioni, contrapposte e quasi contemporanee. Ogni capitolo, infatti è un balzo temporale nel passato, ma all’interno di ogni capitolo il racconto rispetta il normale scorrere del tempo a cui siamo abituati, procedendo verso il futuro, insomma. Il paradosso, dunque, è che al termine della lettura di ciascun capitolo ci siamo avvicinati al precedente già letto, e non al prossimo che leggeremo.
Se all’inizio della storia è già chiaro (proprio perché la fine è la prima parte raccontata) dove arriverà il reciproco inseguimento tra Zeno e Ana, Lafebre usa allora l’incedere alla rovescia del suo racconto per disseminare indizi grossi come un ponte, quello che unisce due sponte della cittadina di cui Ana è sindaco, che trovano spiegazione solo quando risalendo gli eventi ci imbattiamo nella loro origine casuale, raccontata con la noncuranza di un evento all’epoca dall’importanza modesta.
La complessità dell’intreccio non corrisponde, tuttavia, a una reale complessità dei personaggi: Ana è la donna forte, risoluta, disposta a mettere la carriera davanti a tutto, mentre Zeno è il classico uomo affascinante e inaffidabile, che fa innamorare le vecchine del quartiere, ma scappa col primo pretesto non appena sente odore di impegno.
Il personaggio più interessante si rivela dunque Giuseppe, il placido marito di Ana: scusate lo spoiler, ma è un’informazione che si scopre fin dalle prime pagine. Già: Ana è sposata da una vita, ma il ritorno di Zeno manda all’aria il suo equilibrio. È l’ennesima distrazione dalla vita coniugale che Giuseppe deve sopportare, oltre a quelle lavorative, ma anche qualcosa che l’uomo ha messo in conto da tempo, forse dall’inizio, e che accetta bonariamente, con lo stesso spirito con cui per anni ha lasciato bigliettini e piatti pieni sul tavolo in piena notte per accogliere Ana al rientro da una serata in ufficio, senza la certezza che fosse davvero i ufficio.
Benché nemmeno lui, va ammesso, spicchi per profondità, la figura di Giuseppe è interessante per almeno due motivi. Il primo è un ribaltamento di ruoli rispetto alla rappresentazione a cui le commedie romantiche ci hanno abituato in cui è la donna a dover sopportare comportamenti che minacciano la stabilità dello coppia per un bene considerato superiore dalla comunità, ovvero l’unità familiare.
Il secondo e per me più interessante, invece, è il concetto di amore che traspare attraverso Giuseppe. Un sentimento ancora una volta diverso dalla sua descrizione tradizionale, che non mira al possesso, ma alla felicità altrui, e che passa attraverso l’accettazione della natura dell’altro e la consapevolezza che l’esclusività non è mai garantita. Vivere una vita insieme è una scelta che travalica i confini dell’amore e si fonda sulla condivisione di un vasto spettro di valori che nel corso di un’esistenza finiscono per rappresentare quella balaustra a cui aggrapparsi quando il sentimento o il desiderio spostano il proprio orientamento (o quello altrui) verso l’esterno della coppia.
Quello di coppia, in fondo, è solo uno dei tanti modi in cui è possibile concepire la condivisione di un amore e trovo apprezzabile che nel contesto di una commedia romantica così classica sotto tanti punti di vista (su tutti la psicologia dei personaggi principali), Jordi Lafebre abbia trovato modo di inserire elementi di complessità che rispecchiano una concezione più aperta e consapevole di cosa siano l’amore e la famiglia, ben condensata per altro nelle due citazione con cui decide di aprire il volume: “Amor, ch’a nullo amato amar perdona” di Dante, e “We are human after all” dei Daft Punk.
Molto meno complicata da cogliere è invece la spettacolare bellezza del connubio di forme e colori messi su carta da Jordi Lafebre. Lo stile morbido del fumettista catalano si presta particolarmente a raccontare questa vicenda tutto sommato leggera e sognante. Buona parte dei capitolo sono suddivisi in pagine composte da una gabbia a sei vignette in Lafebre tiene spesso l’inquadratura abbastanza vicina ai personaggi in scena da dettagliare le loro espressioni, sempre precise nel trasmettere i sentimenti, benché piuttosto caricaturali, con sorrisi larghissimi e occhi giganteschi.
Fanno eccezione i capitoli epistolari, in cui la gabbia si riduce a tre vignette orizzontali, cartoline del lungo inseguimento alla rovescia tra Zeno e Ana, che culmina in un ultimo capitolo muto che collega tutti i fili sparsi tra le pagine e ribalta, ancora una volta, il senso del racconto. Una nota a parte meritano però i colori, realizzati dallo stesso Lafebre in collaborazione con Clémence Sapin abbondano di toni pastello, senza però mai risultare stucchevoli, anzi conferendo la giusta illuminazione ad ogni scena (un giorno bisognerà parlare di quanto il colore abbia contribuito all’evoluzione e al cambiamento del fumetto negli ultimi 20 anni).
Nonostante tutto è un esempio positivo della forma che supera il contenuto, perchè è vero che la trama può prestare il fianco a qualche critica, su tutte una banalità e una rappresentazione tutto sommato facilona di situazioni che nella vita vera si rivelano ben più complicate, è altrettanto vero che le meravigliose tavole di Lafebre colorate insieme Sapin meritano tutti i lunghissimi minuti di ammirazione che il vostro sguardo dedicherà loro.
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