Alana Kane (interpretata da Halana Haim) nel film Licorice Pizza

Tra i film più attesi di questo 2022 c’è sicuramente Licorice Pizza (Paul Thomas Anderson, 2021), in corsa per i premi più prestigiosi conferiti dall’Academy (miglior film, miglior regia e miglior sceneggiatura originale) e ultima fatica di un autore tra i più interessanti del nuovo millennio, capace di raccontare da diverse prospettive spaziali e temporali – salvo un paio di eccezioni – la famelica America dell’Ovest, o meglio la Fernando Valley, rivelandone le congenite aspirazioni, contraddizioni e perversioni.

Licorice Pizza, nel suo essere così libero e apparentemente “informale” è forse il film che, più di altri, intrattiene con il regista un legame speciale, ricco com’è di aneddoti e luoghi della memoria autobiografici. Il titolo fa infatti riferimento alla catena di negozi di dischi che conobbe grande popolarità nella California degli anni ’70, posti che Anderson amava frequentare e che avrebbero musicato la sua adolescenza, un’epifania che nel film non vediamo mai, ma che rileviamo in tutta la sua tangibilità attraverso la distintiva e trainante colonna sonora. Lo stesso script sembra assecondare l’andamento di quelle suggestioni e atmosfere inanellando uno dopo l’altro episodi straordinari calati nella quotidianità ordinaria (ma caotica) dei Seventies, dei quali i sentimenti sembrano seguire a briglia sciolta le sferzanti spinte socioculturali, con i suoni che accordano, i colori che ambientano, gli oggetti che distraggono e le idee che arredano.

Cooper Hoffman nei panni di Gary in Licorice Pizza

Meno articolato e opaco (e intellettuale) di Vizio di Forma (2014), con il quale condivide il regime antinarrativo, Licorice Pizza sprigiona per mezzo della sua libertà espressiva una luminosità capace di rivelare il lato confidenziale – ma non privo di angoli bui – del cinema rigoroso di P. T. Anderson, mostrando un legame inedito in balia di una frenesia – quella appunto degli anni ’70 – in cui trovarsi e ritrovarsi in mezzo alla tempesta degli innumerevoli stimoli significava già di per sé Grande Amore, anche a digiuno di dichiarazioni o promesse plateali. Scegliersi tra migliaia di scelte, avventurarsi in una storia tra migliaia di avventure possibili è l’amore messo in scena da Anderson, un amore ingenuo ma saldo che sembra oscillare tra il “vorrei” di Come Eravamo (Sydney Pollack, 1973) e il “ma non posso” di Frutto Proibito (Billy Wilder, 1942).

Sebbene la mera trama non sia il pezzo forte di Licorice Pizza, non si può non notare come essa, attraverso una sceneggiatura preziosa, riesca a restituire dell’universo narrato un aspetto realistico e una credibilità coinvolgente, come i volti dei suoi giovani protagonisti. Alana (Alana Haim) e Gary (Cooper Hoffman) – entrambi al loro debutto cinematografico – vivono le loro vite nella Valley trasformando quelli che sembrano svogliati passatempi in impieghi remunerativi, mentre osservano il loro rapporto squilibrato (per età, interessi e inclinazioni) assestarsi su un sentimento di reciproca ammirazione.

Un fotogramma dalla corsa d'auto di Licorice Pizza

Nel tracciare la complicata relazione tra i due, Anderson sembra procedere controcorrente: l’amore non è il principio di una coppia e della loro storia, ma un approdo per individualità strutturate che alla fine, esperendo ciò che non vogliono, si adattano e si scelgono (come accadeva ne Il Filo Nascosto).

La capacità di Anderson di sfuggire alla retorica e alla caricatura, mentre confeziona un film dal sapore nostalgico e fuori dall’attualità – anche se la crisi energetica del ‘73 ha un’eco sicuramente ammonitrice – rende Licorice Pizza un film, più che da seguire, da vivere e da condividere con il suo autore, nella speranza che non abbia mai fine…



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