I momenti importanti nella vita arrivano senza essere preannunciati e non puoi fare nulla se non reagire e tentare di razionalizzare a posteriori e così eccomi qui, a ripensare a quando ho visto per la prima volta Top Gun senza avere il minimo presentimento che sarebbe stato un film che mi avrebbe accompagnata per il resto della vita. Chissà, quindi, quando mi sono accorta di trovarmi di fronte a un clamoroso capolavoro in grado di far assurgere il pacchiano a sublime: forse a fine film, forse già davanti a una delle battute del secolo, ma per la narrazione a posteriori che facciamo degli eventi mi piace pensare di aver avuto la prescienza di farmi catturare fin dalle prime note del tema musicale, prima ancora che Danger Zone subentrasse a impostare tono e ritmo, funzionando da apripista a quel bambinesco e strafottente machismo da due galli in un pollaio che verga quasi ogni inquadratura a terra. Tranne quelle in cui imperano i vaporosi capelli biondi di Kelly McGillis che fanno pendant con i tramonti arancio impolverati d’oro con cui Jeffrey L. Kimball, direttore della fotografia, aveva firmato il film.
La storia la conoscete tutti. Tony Scott, Jerry Bruckheimer e Don Simpson si entusiasmano all’idea di trarre un film da un articolo dal titolo “Top Guns“ apparso sulla rivista California Magazine. Tom Cruise è la prima scelta per il ruolo di Maverick, così come Val Kilmer che però si fa pregare, mentre Kelly McGillis non piaceva agli studios che avrebbero preferito qualcuna più giovane e “fashionable“. Stolti. Nel mentre della lavorazione, Tony Scott riesce a farsi licenziare e riassumere tre volte, la marina militare interviene su alcuni punti della sceneggiatura e, in fase di montaggio, si dà fondo a ogni risorsa creativa per dotare di senso le evoluzioni aeree girate a caso. E poi c’è, naturalmente, la partita di pallavolo che Scott ha ammesso di aver girato come fosse un “soft porn“, perché in quale altro modo la si poteva girare se non così.
La storia è lineare, ma tiene dentro azione, dramma e romance con un corretto dosaggio degli elementi. Tom Cruise è perfetto nel portare in scena la variazione del golden boy che gli è più congeniale: quella dell’arrogantello dal talento assoluto a cui la vita prima dà una lezione di umiltà attraverso la tragedia, ma poi concede l’epilogo con riscatto. Non manca nulla quindi, nemmeno i daddy issue senza i quali gli sceneggiatori a stelle e strisce proprio non saprebbero da che parte incominciare a scrivere un protagonista maschile. La storia d’amore, invece, prende in prestito la grammatica della soap opera: primissimi piani, flap flap delle ciglia, sguardi ammiccanti e allusivi con la camera che rimbalza dall’uno all’altra.
L’epica smargiassa del “meglio del meglio” made in USA in versione aeronautica, il dramma e la storia d’amore sono survoltati da una colonna sonora che amplifica e fa decollare le scene che sottolinea con l’evidenziatore. Take My Breath Away è il manifesto del film, oltre che vincitrice di un oscar e responsabile di un boom nascite. Insomma, in Top Gun c’è tutto, incluso l’ingrediente segreto alla base di tanti successi: la fortuna sfacciata. Poteva andare tutto male, ma ogni cosa si è combinata nel migliore dei modi.
Top Gun all’epoca – maggio 1986 – fu accolto tiepidamente dalla critica, ma il pubblico è accorso in massa prima nei cinema, poi nei negozi per i ray ban e le giacche in pelle, poi da barbiere e parrucchiera, e infine nelle accademie ad arruolarsi. Anche se non giurerei sull’ordine. A tutt’oggi la pellicola di Scott è un film che – in qualsiasi modo la si voglia pensare a proposito dei meriti artistici – ha una riconoscibilità e uno status di pietra miliare innegabili. Tom Cruise, a distanza di trentasei anni, è ancora una star assoluta, l’ultimo divo di un’era cinematografica che non esiste più. Esattamente come Maverick che in Top Gun: Maverick è l’ultimo di una specie che si ostina a sopravvivere alla propria era geologica.
Le voci di un sequel si sono rincorse per anni e finalmente il progetto si è concretizzato. Alla regia abbiamo Joseph Kosinski che ha diretto Cruise in Oblivion, Bruckheimer è ancora il produttore insieme all’ormai fidato (per Cruise) Christopher McQuarrie che contribuisce anche in fase di scrittura. Claudio Miranda è il nuovo direttore della fotografia che però si premura di farci ritrovare i tramonti intrisi di quella particolare atmosfera sospesa tra sogno e spavalderia. All’appello mancano Tony Scott e Dan Simpson, entrambi volati più in alto di Maverick. Il ritorno più atteso e sentito è però quello di Val Kilmer, da anni flagellato da problemi di salute che gli impediscono non solo di lavorare, ma anche di parlare.
Ci sono altri ritorni, attraverso i flashback, ma qualcuno è stato lasciato fuori. L’idea è stata quella di riallacciarsi al primo film, mantenere un filo diretto con la storia, ma senza riproporne una pedissequa versione aggiornata. La nostalgia c’è, è la cifra emotiva del film e il motore che spinge Maverick, ma è presente affinché venga elaborata e, infine, superata. Il titolo scelto per il ritorno dice già tutto quello che dobbiamo sapere: è Top Gun, ovviamente, ma il focus è più che mai su Maverick. Qui non c’è nessuno a contendergli la scena: né Kilmer/Iceman come antagonista, né Goose/Anthony Edwards come spalla, anche comica. Maverick è sia l’eroe che l’antagonista essendo di fatto il peggior nemico di sé stesso, incapace di fermarsi un attimo prima di valicare la sottile linea tra eroismo e stupida incoscienza.
Il film si apre mutuando le prime scene di Top Gun, ma non appena affrontiamo la prima, spettacolare sequenza in volo è chiaro che qui siamo ascesi a un livello ben superiore dal punto di vista tecnico. Kosinski filma ogni sequenza come se stesse girando un altro sci-fi, e l’idea di base è proprio quella di mostrarci qualcosa che sembri fantascienza. Del resto, Tom Cruise è la nemesi del green screen e nemico giurato della CGI e la conditio sine qua non per tornare nei panni del pilota era che tutto il girato fosse autentico, che l’esperienza fosse reale e il pubblico avesse modo di assistere a qualcosa di mai tentato – e raggiunto – prima. Missione compiuta. Le evoluzioni aeree sono mozzafiato e funzionali alla storia che si voleva raccontare.
Perché c’è anche una storia. Maverick viene chiamato a vestire i panni da istruttore, nonostante l’ennesimo colpo di testa. A intercedere preso le alte sfere è Iceman che, al contrario di lui, ha fatto carriera diventando sostanzialmente un mito vivente e angelo custode del vecchio amico/rivale. Gli allievi sono una compagine in cui riecheggiano i personaggi del primo film, e tra cui spicca Rooster (Miles Teller) il figlio di Goose e spina nel fianco di Maverick. Da qui in avanti SPOILER
Io continuo a scrivere “il film”, al singolare, ma in realtà Top Gun Maverick è composto da due film. Il primo racconta la storia di un pilota e della missione a cui prepara i suoi allievi, e finisce con l’obiettivo raggiunto. Il secondo inizia subito dopo, e mette in scena l’epica del protagonista trasformandosi in un monumento equestre al plot armor. Sono entrambi punte di eccellenza nella rispettiva categoria di appartenenza: film d’azione il primo, agiografico il secondo.
Maverick viene abbattuto, ma sopravvive allo schianto, poi alla proverbiale pessima mira del nemico. Viene salvato da Bradley che a sua volta sopravvive a una rovinosa caduta a terra. Teoricamente i due dovrebbero essere in territorio nemico, super sorvegliato e allertato, ma in qualche modo riescono a conversare e ad elaborare i loro conflitti mentre i fiocchi di neve cadono dolcemente nella foresta, neanche fossimo in un film di Kurosawa. Raggiungono la base nemica e, come due pantere rosa, riescono a rubare un vetusto f14 con il cupolino che si abbassa con la stessa ritrosia con la quale il bancomat eroga i soldi. Ed è già tutto scritto.
Non serve un grande sforzo di immaginazione per capire cosa accadrà. Non appena Maverick nomina le maniglie di espulsione ci immaginiamo perfettamente che queste non funzioneranno, prevediamo facilmente che resteranno senza munizioni, uno contro dieci, con le spalle al muro e la morte di fronte finché finché Hangman, che avevamo visto dieci minuti prima pronto sulla pista e desideroso di decollare, non arriverà a salvarli. È tutto prevedibile, eppure tutto funziona e il nodo allo stomaco si stringe e si scioglie ogni volta che i nostri ce la fanno per il rotto della cuffia. Sapevamo dal minuto uno, quindi, ma l’emozione è come se fosse stato tutto possibile, tutto incerto, tutto ancora da scrivere. Il suddetto fenomeno va sotto la voce: la magia del cinema. A saperla creare.
Sul viale dei ricordi, il momento più intenso arriva facilmente grazie all’incontro tra Maverick e Iceman. La scena, anche in circostanze normali, sarebbe stata grandemente attesa, ma le condizioni di salute di Kilmer rendono l’atmosfera dolce-amara e commovente. Questo è anche il momento in cui Cruise può concedersi di recitare, ampliando un minimo il range di espressioni che uno script del genere solitamente concede. Ma questo è anche il punto in cui si manifesta l’inferiorità del film rispetto al predecessore. I due amici avrebbero meritato qualche linea di dialogo che sottolineasse degnamente quello che veniva mostrato, ma lo scambio è scritto con il pilota automatico. Più in generale, è tutta la sceneggiatura a non offrire nulla di memorabile. In Top Gun l’ironica spacconaggine dell’insieme è mirabilmente incarnata nelle battute in dote ai personaggi, in Maverick ci si è accontentati di lasciare che il film facesse il suo corso.
Top Gun Maverick è un film grandioso costruito intorno a una star che è signore e padrone della storia e della scena, ma che ama il suo personaggio a cui consente di crescere e smarcarsi dal passato. Le risoluzioni di tutti i conflitti chiudono il film senza appigli per un altro sequel, ma con un senso di chiusura emotivamente appagante che si sposa bene con l’euforia prodotta dalle mirabolanti evoluzioni aeree.
In un’era post-pandemica, in cui l’appeal del cinema è eroso dalla comodità della visione in streaming, e con un orizzonte creativo sempre più stretto e affastellato di cinecomic e prodotti cross-mediali, Top Gun Maverick compie un mezzo miracolo – proprio come il protagonista – imponendosi come uno spettacolo che nessun altro può offrire, che nessuna piattaforma streaming può contenere.
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