Ci si distrae un secondo ed è già anno nuovo. Noi però stiamo ancora smaltendo le ultime pellicole del 2023. FOMO non ti temiamo.
Ferrari
La dissonanza cognitiva intorno a Ferrari di Micheal Mann probabilmente dipende dall’abitudine molto italiana, sebbene diffusa un po’ ovunque, di ammantare i morti di un’aura di santità, soprattutto i morti di successo. Ferrari, nell’immaginario nostrano, è l’industriale rampante, ma buono con i proletari, il traduttore in metallo e cuoio dell’eccellenza italica, emblema di quel buon gusto che ci raccontiamo essere cosa solo nostra, simbolo dell’industria fatta per passione in opposizione alla fredda meccanicizzazione. Quel che ci vede Mann, invece, è un uomo nell’anno peggiore della sua vita. Un matrimonio alla deriva, un figlio morto troppo presto, un’amante, un secondo figlio nascosto al mondo, un’azienda a un passo dalla rovina per gli investimenti nelle corse e piloti che muoiono come mosche.
Lo spiazzamento che si vive di fronte a questo Enzo Ferrari incarnato da Driver, grosso, granitico, duro e inaccessibile è lo specchio di un film che stranisce per l’intera sua durata demolendo le aspettative dello spettatore, deviando saltuariamente e inaspettatamente dalla rigida formalità di Mann, per poi tornare in pista con sequenze filmate al volante di una bellezza abbacinante. Da spettatori italiani, il rammarico più grande è la scelta di Mann di girare in una generic Italy dove anche gli accenti stonano (e nemmeno il doppiaggio italiano convince). Tiene su tutto un quartetto di protagonisti (oltre al già citato Adam Driver, Penélope Cruz, Shailene Woodley e Patrick Dempsey) decisamente in palla oltre al talento di Mann, che gli consente di rendere interessante persino un biopic con le sue scelte spiazzanti.
Wonka
Dopo a Johnny Depp, tocca al buon Timothée Chalamet vestire i panni dell’indecifrabile Willie Wonka, nella speranza di raccogliere maggiori fortune rispetto al suo predecessore. Per l’occasione Warner Bros. si è affidata a Paul King, mente (ma anche sceneggiatura e regia) dietro i film di Paddington e i risultati si vedono. King sa come maneggiare una materia delicata come i racconti per ragazzi e sembra trovarsi molto a suo agio col personaggio di Wonka, in questa occasione raccontato durante la sua gioventù, prima di diventare dunque il severo dispensatore di giustizia de La fabbrica di cioccolato.
King riesce quantomeno in parte a catturare l’atmosfera di Dahl: il suo Wonka non è ancora quello insondabile e a tratti inquietante, seppur tenero alla bisogna, reso celebre da Gene Wilder, ma ancora un semplice ragazzotto, ingenuo negli affari di mondo, eppure scaltro e dalle mille risorse. Si può essere d’accordo o meno sulla necessità di raccontarne le origini, ma questo ci porterebbe a disquisire dell’industria del divertimento e delle direzioni creative imposte da CEO milionari scollegati dalla realtà, e non è questo il luogo. Sorvolando su considerazioni di questo tipo, dunque, Wonka è un ‘operazione riuscita, una pellicola che appaga grandi e piccini e viaggia su un doppio registro, come la scrittura di Dahl, e apre interessanti prospettive agli spettatori più smaliziati, usando ad esempio il cioccolato come metafora. Solido il cast di comprimari (che annovera oltre a Olivia Coleman anche Tom Davis, Mathew Baynton, Matt Lucas e Paterson Joseph) e musiche tutto sommato sopportabili anche da chi non ama particolarmente il musical: sì, perché come immaginabile Wonka è un musical, seppur light, ma vi invito a desumerlo guardando il trailer officiale. Sappiamo come andrà a finire, l’odore di trilogia si sente già da qui, ma Wonka è la dimostrazione che anche operazioni commerciali se affidate alle giuste mani possono dare risultati interessanti dal punto di vista artistico.
Leave the World Behind (Netflix)
Nell’era dello streaming i sottotitoli sono soprattutto un mezzo per rendere il prodotto fruibile anche da chi desidera la versione originale pur non essendo versato nella lingua del paese d’origine, mentre i cosiddetti closed captions sono destinati ai non udenti che per seguire hanno bisogno, oltre che dei dialoghi, anche di precise informazioni che riguardano rumori fuori scena, dagli scricchiolii alle folate di vento, fino ad altre fondamentali indicazioni che forniscono l’idea di uno stato d’animo, la chiave di lettura di un’espressione, aiutano a cogliere l’atmosfera creata soprattutto dalla musica. La mia indicazione preferita in questo senso è “ominous music playing” e quando compare non c’è spazio di manovra per la libera interpretazione perché la descrizione è di fatto un’imbeccata: sta per accadere qualcosa di sinistro, questo personaggio non è ciò che sembra, preparatevi al peggio. Leave the World behind è un’ode all’ominous music. Lo score firmato da Mac Quayle, a dispetto delle numerose hit presenti nel film, non lascia spazio a dubbi di sorta: va male, per tutti, e questo tutti include anche noi spettatori, anche l’intera specie umana.
Amanda (Julia Roberts) e Clay (Ethan Hawke) – coppia bianca e borghese di Brooklyn con due figli adolescenti – si concedono una vacanza a Long Island, in una lussuosa villa con piscina. Qui e là colgono – e cogliamo – segnali di elementi fuori posto, ma tutto sommato ancora trascurabili finché una sera il proprietario della villa, accompagnato da sua figlia, bussa alla loro porta: i due sono stati costretti a rientrare anzitempo e vorrebbero riappropriarsi della loro abitazione, compensando adeguatamente gli ospiti, s’intende. Qui il film prima flirta apertamente con il genere home invasion, introduce sottotraccia le tematiche del conflitto razziale e di classe, ma poi si dirige dritto al punto. Superate tensioni e diffidenze iniziali, i protagonisti hanno ben altro a cui pensare. Internet – orrore – non funziona, così come la tv e qualsiasi altro apparecchio elettronico, tutti sono tagliati fuori da tutto, le anomalie diventano sempre meno spiegabili e sempre più pericolose e inquietanti. Il padrone di casa George (Mahershala Ali), in virtù del suo lavoro e delle sue conoscenze tra le alte sfere, è in possesso di informazioni che ora dopo ora vengono confermate nella loro validità e nessuno può fare nulla per evitare quello che è, né più né meno, che l’imminente collasso della civiltà.
Quasi non sembra vero, nonostante tutto, in questa parte di mondo puntellata da abitazioni lussuose dotate di ogni comfort, ma da questo luogo costellato di simboli del privilegio di classe i protagonisti non possono fare altro che assistere da lontano a una New York in fiamme la cui distruzione presto raggiungerà anche loro negli ameni Hamptons. Un perfetto ritratto della civiltà occidentale: i segnali ci sono tutti, le informazioni inequivocabili per capire che ci stiamo approcciando al punto di non ritorno anche ma, esattamente come i protagonisti del film, ci sentiamo ancora distanti, nel nostro sempre più temporaneo e precario agio e benessere che funzionano da silenziatore a quelli che sono segnali assordanti, finché non sarà troppo tardi per anche solo provare a invertire la rotta.
Dall’omonimo romanzo di Rumaan Alam, Sam – Mr Robot – Esmail tira fuori un thriller scio-politico anomalo e avvincente in cui la tensione e l’imminente catastrofe sono affidati nella resa alla regia che esalta le doti attoriali di un cast impeccabile su cui spicca una Julia Roberts che coraggiosamente, da diversi anni a questa parte, libera dal desiderio di compiacere il suo pubblico, non si appoggia alla fama di fidanzata d’America e sceglie ruoli complessi come la sua Amanda misantropa, diffidente, con manie di controllo. Leave The World Behind è un disaster movie in cui la messa in scena del disastro non è affidata a scene apocalittiche, ma è sottilmente ed efficacemente veicolata da un ordigno narrativo congeniato alla perfezione che ticchetta la fine del mondo che si avvicina preannunciata non da un botto o da un gemito, ma da un offline. Ma parliamo del mondo cosiddetto “occidentale”, perché la stretta attualità ci mostra un altro mondo già crollato e in macerie.
(Mara)
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