Negli anni mi è capitato di recensire una gran quantità di titoli Nintendo per i siti e riviste con cui ho collaborato. Il lavoro del recensore differisce poco in fondo da tutti gli altri lavori; col tempo ti formi una serie di strumenti che ti consentono di guadagnare tempo e ottimizzare gli sforzi: nulla di diverso, in pratica, da quello che faceva Omero con i suoi epiteti. Ecco, per me, nel caso dei giochi Nintendo, l’epiteto omerico che tengo sempre nella manica quando parlo di Nintendo è la considerazione che spesso nei giochi della grande N si trovano più idee in un singolo livello di quante altre software house ne distribuiscano all’interno di una trilogia. Super Mario Bros. Wonder, però, spinge questo concetto oltre ogni limite. 

Oltre a essere una formula comoda, a cui si possono agganciare numerosi altri spunti, è anche sempre vera: ci sono più idee, sperimentazioni e innovazioni in un livello a caso di un Kirby a caso, che nella maggior parte degli altri titoli in commercio. È la diretta conseguenza di una filosofia aziendale e produttiva che differenzia i videogiochi realizzati da Nintendo da tutti gli altri: come Galbani, Nintendo fa le cose per bene, una regola semplice che trova tuttavia pochi seguaci nell’industria (ma questo è un altro discorso). Nel momento in cui si avvia un gioco Nintendo, insomma, è normale aspettarsi un prodotto rifinito fin nei dettagli più impercettibili, che non avrà bisognò di patch o altri aggiustamenti, ma soprattutto un gioco che si affida a idee innovative e non riciclate. 

Zelda: Tears of the Kingdom è un ottimo esempio di questa filosofia: seguito di un gioco rivoluzionario, la nuova avventura di Link evolve le meccaniche del gioco precedente, ne introduce di nuove e mette in mano al giocatore una serie di strumenti che consentono di portare il gameplay oltre l’immaginazione degli stessi sviluppatori. Con Super Mario Bros. Wonder, Nintendo ha radicalizzato ulteriormente questo approccio, scuotendo le fondamenta del suo personaggio simbolo. 

Se le trasformazioni da sempre fanno parte del repertorio di Mario, Wonder sfrutta il deus ex machina dei Semi Meraviglia sparsi nei livelli per declinare in salsa lisergica questo concetto, deformando i confini tra il personaggio giocabile, i comprimari e persino parti della scenografia. Certo, prima bisogna trovarlo il Seme, ed è già un bel pezzo di divertimento, ma dopo l’assaggio può capitare di ritrovarsi in un’imprevista citazione di Sunset Riders contromano su una mandria di bufali oppure nei buffi panni di un nemico o ancora in un ibrido tra Rock Band e un platform. Il Seme magico è un inibitore delle inibizioni che consente a Mario di essere e fare tutto ciò che avrebbe voluto nella sua carriera, ma che il rigido codice stilistico della saga gli aveva finora impedito. Magari sedotto dalle idee fuori dagli schemi consolidati emerse dall’aver dato in mano le istruzioni del giocattolo agli utenti con Super Mario Maker, chissà.

Super Mario Bros. Wonder però non funzionerebbe così alla perfezione senza il suo look festoso in cui la palette di colori sempre allegri sposa animazioni morbide e goffe, di personaggi che si muovono in un mondo in cui tutto è animato, divertente e divertito. Giocare Super Mario Bros. Wonder è come immergersi nell’atmosfera delle Silly Symphonies mentre mani e riflessi sono chiamati a prestazioni olimpioniche. Eppure Wonder non è mai snervante perché ogni sua componente è pensata per essere giocosa e giocabile, inclusa la mappa, ormai zeppa di segreti e percorsi, nonché custode dei veri livelli finali in cui il gioco mostra i muscoli e balza nell’iperuranio. 

Perché Super Mario Bros. Wonder vuole essere un gioco per tutti, e allora ecco Yoshi e Ruboniglio come personaggi giocabili facilitati, ecco la possibilità di affrontare ogni livello in 4 giocatori e gli aiuti asincroni che si ricevano online, ma la verità è che la soddisfazione può arrivare solo dal completamento al 100% (tutti i semi, tutti le monete, tutti i balzi in cime all’asta), e Wonder mette sul tavolo alcuni dei livelli più tosti di una saga che da sempre si diverte a testare i limiti della propria utenza. nella manica del giocatore però si possono sempre trovare delle comode spille, aiutini che modificano le prestazioni del personaggio in determinate situazioni (ad esempio sott’acqua). Non ci sono insomma molte scuse: wonder ha qualcosa da offrire a chiunque, novellino o platformista navigato, adolescente con un sacco di pomeriggi liberi o pendolare che può concedersi 15 minuti di gioco al giorno sui mezzi. 

È in momenti come questi che sono contento della decisone di Players (da sempre) di non ricorrere ai voti, perché valutare Super Mario Bros. Wonder mette in crisi qualunque sistema di valutazione. Semplicemente, in questa industria non esistono prodotti così formalmente perfetti come quelli Nintendo. Se a questo standard si somma quello che parrebbe e potrebbe essere il balzo evolutivo più significativo dei Mario in 2D dagli albori della saga, qualunque valutazione diversa da “Correte a giocarci se ancora non l’avete fatto” sarebbe banalmente superflua. Correte!


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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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