Siete pieni di idee ma l’industria pare non accorgersi minimamente di voi? Dovreste stare allegri, perché mai come in questo momento storico è stato facile scavalcare la tradizionale filiera produttiva per presentarsi al pubblico con un lavoro autoprodotto. Grazie al crowd funding di Kickstarter o IndieGoGo trovare ingenti somme di denaro – soprattutto se si approda a questa soluzione dopo essersi creati un solido seguito online attraverso i vari social network – non è più uno scoglio insuperabile. Prendete il regista della serie web The Angry Videogame Nerd. Più di trecentomila dollari raccolti per poter girare un intero lungometraggio sul popolare personaggio. Senza considerare i milioni raccolti da Tim Schafer per la sua nuova avventura grafica, ormai storia del web.

Ma la nuova autarchia culturale non passa solo da qui. Se non avete esigenze di supporti fisici esistono servizi per la pubblicazione online a portata di tutte le tasche. Vedi Youtube o qualsiasi sito di hosting, piattaforme formidabili per la distribuzione dei propri lavori in video. Tagliando alla radice tutte le condizioni e i compromessi dettati da intermediari o dal circuito distributivo tradizionale. Se invece si è fanatici della carta stampata è possibile appoggiarsi a siti di stampa on demand.

Buoni risultati senza doversi sobbarcare l’onere di una tiratura di centinaia di copie. Insomma, pare che tutti questi anni di 2.0 abbiano portato a qualcosa di ben più corposo di una massa di diari online dal valore discutibile. Se oggi siamo tutti user lo dobbiamo anche alla facilità con cui possiamo accedere a mezzi che hanno sempre meno da invidiare a quelli sfruttati dai professionisti. Una volta terminato il nostro capolavoro bastano pochi clic per presentarci alla platea mondiale. Eppure c’è qualcuno che non la pensa così. Luddisti talebani del DIY (do it yourself, nell’accezione più punk del termine) che preferiscono girare le spalle a tutte queste facilitazioni e a questo nuovo tipo di socialità a distanza, rispondendo con un ritorno alla bassa fedeltà.

Sembra incredibile, ma nel mondo della pellicola esistono ancora coraggiosi che si ostinano a vendere i loro lungometraggi in VHS (vedi lo strepitoso The Taint degli americani Bolduc & Nelson). In tutta risposta nel microcosmo della carta stampata si sta assistendo a un boom di pubblicazioni fotocopiate.

Alla rapidità con cui si potrebbero raggiungere migliaia di persone attraverso Issuu si preferisce qualche decina di copie stampate con una vecchia Xerox, rilegate con colpi di pinzatrice e inviate una per una a quegli avventurieri che riescono a rintracciare un indirizzo email dove richiederle. Una dichiarazione d’intenti che ha ripercussioni anche su cosa ci finisce su queste pagine, lontane dalla perfezione di pixel del nostro monitor in HD. Fumetti disegnati male, sgradevoli, confusionari. Oppure collage di foto pornografiche. Richiami al satanismo e a un esoterismo urbano capace di unire black metal e street art.

Mai come in questo caso forma, contenuto e approccio con il pubblico si sono fusi in maniera così perfetta e coerente.
Siamo agli antipodi del trend generalista. Prendiamo la fanzina di culto Fuck This Life. Nulla di più di un insieme casuale di ritagli da tabloid scandalistici, volantini pubblicitari e fotografie tratte da qualche magazine a luci rosse (se ancora ne esistono). Tutti sezionati con cura certosina e incollati con rigore all’interno di griglie immaginarie.

Fotocopiate e vendute attraverso il sito della microscopica &Press, di proprietà dell’eclettico Eric Elms. L’opera di Weirdo Dave arriva dritta al ventre proprio per la sua veemenza coprofaga, per l’amore con cui ingoia tutte le bassezze prodotte dall’industria culturale e ce le restituisce senza filtri satirici o interpretativi. Colpisce l’assenza di interventi di matrice informatica, esattamente come succede in HateFuck: pubblicazione texana realizzata unicamente con macchina fotografica, forbici, colla e macchina copiatrice.

Il mondo di questo misterioso artista, noto come Give Up, pare popolato solo da oscure divinità pagane, detriti urbani e uno strano culto boschivo. Tutto restituito con uno stile che parte dalla poster art per arrivare agli artwork delle nicchie musicali più rumorose. Sempre e comunque per pochissimi.

Dal canadese Patrick Kyle arriva Black Mass, sbilenca epopea punk a fumetti. Definito da Vice come il miglior fumetto indipendente della nazione della foglia d’acero, rappresenta appieno la tendenza del fumetto ripugnante. Sotto le curate copertine serigrafate a mano si nasconde un mondo distorto e deforme, debitore tanto delle ‘zine più storiche quanto dei deliri di Jonh Ryan. Stessa storia per il portoghese Rudolfo e le sue follie disegnate improvvisando mentre se ne va al lavoro. Tutto stampato dalla Ruro Comix, di proprietà dello stesso autore. Anche qui sangue, satanismo e cattivo gusto la fanno da padrone.

Altro oggetto non identificato è la raccolta di vignette dal cinismo devastante Minum Rage, edita da Drippy Bone Books. Quando il comunicato stampa della tua casa editrice si limita a presentare il tuo lavoro con un laconico “Really, we have no idea what the fuck this is, but we really like it.” (“Seriamente, non abbiamo la fottuta idea di cosa sia questa cosa, ma ci piace un sacco”) allora penso sia arrivato il momento di farsi qualche domanda.

Poi non possiamo concludere questo articolo senza presentarvi uno degli uomini simbolo di questo bizzarro movimento: Benjamin Marra. Anche se non propriamente fotocopiati, i fumetti della sua casa editrice (di cui scrive e disegna tutte le testate) sono un capolavoro di ostilità al lettore medio. Assurdamente violenti, gratuiti e modellati attorno a un immaginario che spazia dal fantasy post-atomico al gangsta rap più iconoclasta, passando per i Charles Bronson movie degli anni ‘80. La sintesi perfetta di un’attitudine suicida, desiderosa di essere esclusa tanto dal mainstream quanto dai salotti buoni.



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