Non sempre l’unione tra diversi talenti porta a risultati straordinari. Non esiste una formula esatta per raggiungere l’eccellenza ma, a quanto pare, Spike Jonze, dopo anni di tentativi più o meno riusciti, l’ha finalmente trovata. Her non è infatti solo il il film più originale, innovativo e, perdonate la banalità lessicale, geniale del 2013. È molto di più. È una finestra su un mondo nuovo, tanto affascinante quanto inquietante.

Ad una prima e semplice occhiata, la storia raccontata da Her è tutto fuorchè innovativa: in una Los Angeles futura ma non troppo, un impiegato, Theodore Twombly, introverso e dalla personalità complessa, che per vivere scrive lettere “a mano” per conto terzi, si innamora, ricambiato, di un OS, un sistema operativo molto sofisticato, dalla voce (e dal carattere) femminile, che si auto-battezza Samantha.

Il tema dell’interazione tra esseri umani maschili e intelligenze artificiali di sesso opposto è stato affrontato con una certa frequenza dal cinema, nel corso degli anni. Mai però, in modo così intelligente, raffinato e convincente.

Lo script di Jonze è di disarmante semplicità e, al tempo stesso complesso e sfaccettato. La costruzione del rapporto amoroso tra Theo e Sam, procede seguendo lo stesso tortuoso cammino che dovrebbero percorrere due persone in carne ed ossa e proprio l’assenza di una controparte “fisica” (messa in scena brillantemente in una delle tante sequenze memorabili del film) diventa ben presto il primo, ma non unico ostacolo da superare. Prevedibilmente però, a complicare il rapporto tra l’uomo e l’A.I. sono alla fine le stesse pulsioni che di solito fanno naufragare le relazioni tra due esseri umani: gelosia, risentimento, incomprensioni, dettagli.

Jonze riesce a sempre a rendere credibile e verosimile lo scambio di battute tra il protagonista e la sua partner virtuale, tenendo però costantemente al centro dell’attenzione “lui”. Laddove i personaggi femminili appaiono e scompaiono senza soluzione di continuità (le belle Olivia Wilde, Rooney Mara, Amy Adams, quest’ultima in versione “understatement” e ovviamente Scarlett Johansson “voce” di Sam), Theodore è sempre in scena, costantemente seguito dalla cinepresa.

L’interpretazione di Joaquin Phoenix è monumentale e non c’è davvero premio che tenga (l’attore è stato ovviamente ignorato agli Oscar ma, onestamente, chissenefrega). Il suo sguardo, a volte attento e curioso, altre perso nel nulla, i suoi movimenti, le mille espressioni del suo volto, spesso inquadrato da distanza ravvicinata, trasferiscono allo spettatore il senso di fragilità e debolezza tipico di una persona traboccante d’amore ma incapace di relazionarsi stabilmente col prossimo, sia esso una persona fisica o un’intelligenza artificiale.

Con Her Jonze si trasforma in un Woody Allen, versione 3.0: qui il fardello della psicoanalisi è sostituito dai ragionamenti di un computer senziente, ma le interazioni tra i due protagonisti non possono non far ricordare Io E Annie e altri classici del regista newyorkese.

Her è però anche (se non soprattutto) un flashforward su un futuro prossimo e possibile, in cui la tecnologia ha superato il concetto stesso di pervasività, fondendosi letteralmente con la quotidianità. A parte la presenza in alcune sequenze di un “vetusto” desktop, ogni device è piccolo, leggero, intelligente, onnipresente e “funziona” da solo. Il concetto di interfaccia, touch o tastiera che sia, è primitivo e tutto avviene tramite colloqui tra l’uomo e la macchina, il cui occhio (Hal…) è sempre vigile e attento.

Commentato dalla magnifica colonna sonora firmata Arcade Fire, Her è una pietra miliare del cinema contemporaneo, un film emozionante e intelligente che parla al cuore e alla testa e la definitiva consacrazione di Spike Jonze, acuto indagatore dell’animo umano, a profeta di un futuro tanto vicino e intelligibile, quanto remoto e sconosciuto.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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