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In questo caso il vero colpo da maestro è stato messo a segno da Netflix che produce una stilosissima serie francese ispirata alle opere di Maurice Leblanc incentrate sulle gesta di Arsène Lupin, il leggendario ladro gentiluomo.

Se il nome Lupin vi evoca inevitabilmente il personaggio di Monkey Punch, ecco: nulla del genere. Così come non siamo di fronte a un’operazione che affrettatamente era stata bollata da alcuni come “il Lupin nero” o il “Lupin political correct“.

In effetti, Lupin non è neanche il protagonista. La storia del celebre personaggio, narrata attraverso romanzi, racconti e pièce teatrali, rappresenta l’eredità e al contempo il testamento del padre del vero protagonista: Assane Diop.

Assane è un parigino di origine senegalese. Il padre, uomo colto e integerrimo, era stato l’autista di una ricchissima famiglia il cui capostipite lo aveva indicato quale responsabile della sottrazione di una preziosissima collana appartenuta niente meno che a Maria Antonietta. L’uomo aveva confessato il furto, salvo poi togliersi la vita in carcere. Assane, divenuto adulto, è convinto che il padre sia stato incastrato e, complice il ritrovamento della collana, decide di sfruttare le sue notevoli doti da ladro per rubarla e indagare sulle circostanze della sua sparizione. 

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Il primo episodio si presenta con tutti gli stilemi del caper movie, double crossing incluso, ma è nell’intreccio delle due linee narrative e temporali – che si rincorrono e si chiariscono vicendevolmente – che viene fuori un prodotto accattivante, all’interno del quale predomina l’affascinante protagonista interpretato da Omar Sy.

Sy si muove con eleganza felina e passo felpato tra una scena e l’altra. L’attore è capace di suscitare immediata simpatia, complice anche una sceneggiatura smaltata e furba che non ci risparmia nulla del grande classico dell’orfano vittima di una grave ingiustizia, e che cerca la verità una volta cresciuto. 

Assane è sì un ladro, ma in realtà gli unici colpi che mette a segno sono quelli necessari a indagare sulle circostanze che hanno portato all’incriminazione del padre, e in ogni caso si fa beffe solo di chi è in una posizione di potere. Allo spettatore viene risparmiato qualsiasi dilemma etico, ed è anzi messo nella condizione di godere dell’ironia e del talento trasformista di Assane senza remore morali. Perfino i detective che sono sulle sue tracce rappresentano un contorno inevitabile, anche se dignitoso, per una storia che non può parlare di ladri senza mostrare anche le guardie. L’investigatore che intuisce il legame tra Assane e il Lupin letterario, più che un personaggio è solo un mezzo per mettere gli spettatori al corrente dei parallelismi tra il protagonista e il personaggio di Leblanc.

L’antagonismo è tutto tra Assane e Pellegrini, il ricco e potente che cela affari loschi dietro la facciata di filantropo e benefattore. E anche qui la sceneggiatura di George Kay e François Uzan offre una posizione comodissima per il pubblico che si ritrova un villain tout court di cui desiderare una caduta rovinosa e senz’appello. 

Nel contrasto tra i due mondi, emerge anche la questione classista: la parola di un bianco, ricco e potente, è di per sé una prova provata nei confronti di un sottoposto di umili natali, soprattutto se nero. Il razzismo sistemico, di cui Assane è spesso oggetto, viene trattato in modo efficace anche se sempre in punta di fioretto.

Lupin è dunque un prodotto ad alto tasso di godibilità, perfetto per un agile binge watching che però si interrompe sul mitologico “più bello”, in attesa della seconda parte composta da altri cinque episodi. Il regista francese Louis Leterrier sfoggia una grande eleganza e nonchalance stilistica, facendo così il paio con le peculiarità più evidenti del protagonista. L’unica pecca e il non aver scelto, tra i personaggi adulti, comprimari più incisivi, ma a un prodotto dall’esecuzione così armoniosa si perdona facilmente.

 



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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