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All’impazzata — Françoise Sagan

Astoria; a cura di Yasmina Melaouah.


Il raggiungimento dell’età adulta è il problema intrinseco dei bambini prodigio, per il quale la letteratura francese ha identificato almeno tre soluzioni: morte altrettanto precoce (Radiguet, vent’anni), cambio di mestiere in età ancora giovanile (Rimbaud, ventun anni, milizie coloniali olandesi, circo, traffico d’armi, et cetera) oppure proseguimento dell’attività. Dopo aver esordito diciottenne con Bonjour tristesse (TEA, traduzione di Maria Laura Vanorio), nel 1954, Françoise Sagan aveva optato per l’ultima alternativa, ottenendo un successo tale che, in occasione della sua morte avvenuta nel 2004, i giornali riportavano che i suoi libri avevano venduto solo in Francia trenta milioni di copie.

Dal punto di vista politico, Sagan aveva l’allineamento corretto per un’intellettuale del suo tempo: nel 1960 la sua firma appariva nel Manifesto dei 121, a sostegno dell’indipendenza algerina, decisione che le costò un attentato da parte dell’OAS; undici anni dopo, il Manifesto delle 343, in cui più di trecento personalità femminili affermavano di aver scelto l’aborto, all’epoca illegale, riportava anche il suo nome. La sua produzione letteraria, tuttavia, non si conformava a certi canoni: per quanto elegante, il suo stile essenziale era lontano dallo sperimentalismo di Marguerite Duras o dall’austerità di Marguerite Yourcenar, e le sue posizioni politiche non influenzavano granché le sue opere, a differenza di Simone De Beauvoir.

Durante gli anni Sessanta Duras, Yourcenar e De Beauvoir pubblicano alcuni tra i loro testi più importanti, rispettivamente Il rapimento di Lol V. Stein (Feltrinelli, traduzione di Clara Lusignoli), L’opera al nero (Feltrinelli, traduzione di Marcello Mongardo) e Una donna spezzata (Einaudi, traduzione di Bruno Fonzi). Lo stesso vale per Françoise Sagan, che nel 1965 torna con All’impazzata, il suo sesto romanzo, dopo quattro anni di pausa. Ai giorni nostri, senza dubbio anche l’illustrazione in copertina non aiuta nel descrivere il libro o nel prendere seriamente l’autrice.

La situazione alla base di All’impazzata è classica: il personaggio principale (Lucile) si trova a dover scegliere tra due possibili partner (Charles e Antoine), dunque tra due possibili vite. Charles e Lucile convivono senza essere sposati; lui è molto ricco e ha cinquant’anni, lei poco più di trenta e non lavora. Nelle cerchie altoborghesi a cui appartiene Charles, Lucile viene trattata con il garbo accordato a una mantenuta educata, bella e colta, anche se Lucile non è una prostituta di lusso: Charles è soltanto felice di evitarle di lavorare per pochi soldi in qualche quotidiano di sinistra, come Lucile faceva prima della loro relazione.

Lo stesso ambiente ospita anche l’attraente quarantenne Diane con il suo squattrinato giovane accompagnatore, Antoine, dipendente di una casa editrice (Sagan non lascia illusioni riguardo la remunerazione di certi impieghi legati al mondo culturale). Tra Lucile e Antoine, vicini d’età e affini per ruolo, non può che accadere l’ovvio; la narrazione li seguirà per una lunga primavera, una breve estate languida, e un malinconico autunno.

[Lucile] si sedette sul letto, allungò una mano, accarezzò il volto stanco. Charles chiuse gli occhi, ebbe un lieve sorriso. Lei si sentiva comprensiva, buona, capace di farlo felice, non pensava che doveva quei buoni sentimenti all’arrivo di Antoine e che, se lui non fosse venuto, avrebbe detestato Charles. Quando si è felici si prendono spesso gli altri come ausiliari della propria felicità, e solo quando non si possiede più la felicità si scopre che gli altri ne erano unicamente gli insignificanti testimoni.

Alla costante ricerca del benessere, pigra, percettiva, disgustata dalla crudeltà inutile, Lucile è una donna che, grazie al sostegno materiale del suo compagno, vive soltanto per se stessa senza contribuire nulla alla società. Sembra del tutto priva di legami forti: ha ancora qualche conoscenza dei tempi dell’università ma non si tratta di amicizie intime; sua madre vive in provincia con un figlio disabile, entrambi mantenuti da Charles e a malapena menzionati; non ha alcun interesse per la maternità.

Questa solitudine, come di consueto nei romanzi di Sagan, non deriva da una decisione sofferta o da un’imposizione, ma appare come una condizione naturale dell’esistenza. Né avida, né gretta, Lucile preferisce una vita comoda e forse sarebbe d’accordo con il verso che Robert Lowell incluse in una poesia dedicata alla terza moglie, la scrittrice ed ereditiera Caroline Blackwood: “la povertà, anche se di moda, degrada una donna quanto la ricchezza“. Antoine riesce ad allontanarla per qualche tempo dagli splendori meschini della prosperità borghese, forte di una carica sensuale che Sagan gli attribuisce bilanciando discrezione e trasparenza.

Malgrado Lucile provi per Antoine un sentimento autentico, certi immensi privilegi sono difficili da dimenticare una volta sperimentati, a maggior ragione se la disponibilità economica può decidere se l’interruzione volontaria di gravidanza che Lucile vuole sarà un’operazione senza anestesia eseguita da un medico equivoco o un intervento chirurgico sicuro in una clinica svizzera.

L’evidente indifferenza autoriale riguardo superficiali divisioni generazionali si manifesta nella gestione dei personaggi che oscillano intorno ai cinquant’anni, a partire dalle due metà più mature delle coppie iniziali: Charles non è eccitante ma è gentile, affascinante, perbene; Diane è incapace di volgarità morale o estetica. Claire Santré, una sorta di eminenza grigia, si barcamena con successo per mantenere uno stile di vita che ha rischiato di diventarle inaccessibile dopo la morte del marito. Jean, detto Johnny, ex pilota della RAF, è forse l’unica persona a capire tutto di Lucile e a guardarla con un affetto equanime; un po’ vanesio, rimane uno dei pochi personaggi omosessuali che il pubblico generalista dell’epoca poteva incontrare senza un corteggio di ostilità o ineluttabile tristezza.

Non ci sarà mai davvero spazio al centro dei romanzi di Sagan per figure più o meno lontane da una stretta osservanza eterosessuale, anche se la scrittrice ebbe, dopo due matrimoni, una lunga relazione con Peggy Roche, redattrice di Elle e poi apprezzata stilista.

Françoise Sagan è stata sempre criticata per per i suoi personaggi agiati e per i suoi “intrighi minori con parole sublimi”, come li ha definiti Claire Devarrieux nel pezzo che le ha dedicato su Libération in seguito alla sua scomparsa. Facile notare sottotraccia una certa condiscendenza nelle opinioni che si leggono sull’autrice e sulla sua opera, “petit” è un aggettivo che Oltralpe ricorreva sovente: il suo è un “petit monde”, la sua scrittura è una “petite musique” e perfino il premio Nobel François Mauriac, nel lodarla, la definiva un affascinante mostriciattolo (“un charmant petit monstre”).
In un’intervista del 1974 Sagan dichiara:

Mi hanno spesso rimproverato di descrivere personaggi che non sembrano molto interessati ai problemi del mondo: a me interessano direttamente, ma non voglio parlarne perché non vedo in che modo potrebbe cambiare qualcosa il fatto che una delle mie eroine dia la sua opinione sulla guerra in Vietnam, per esempio. Avrei l’impressione di utilizzare grossolanamente delle cose che non sono utilizzabili in maniera gratuita. Certo, sono contro la guerra in Vietnam. Se si tratta di firmare dei manifesti e partecipare a delle manifestazioni, l’ho fatto. Tutto quel che accade nel mondo mi appassiona, ma, di nuovo, non credo di avere il diritto di utilizzare questo materiale per ridare un nerbo, un muscolo a una storia d’amore […].

Sarebbe stata premiata da un maggior successo critico se, come l’amato Proust che ispirò lo pseudonimo della giovanissima Françoise Quoirez, avesse dimostrato anche nei suoi libri interesse per qualche causa comparabile all’affare Dreyfus? Non ci sono certezze, considerato che non è dato conoscere gli esiti artistici. L’etichetta di superficialità, di frivolezza, di scarsa serietà le restò sempre attaccata. Françoise Sagan, più disincantata di quanto forse le venisse riconosciuto, badava ad assegnare il genio all’autore della Recherche, e a rivendicare per sé il talento.

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