Dice di aver avuto il primo lavoro al Lyric Players Theatre di Belfast per il suo metro e novantatré di altezza. L’abbiamo incontrato al festival di San Sebastián lo scorso settembre per farcelo raccontare e per scoprire i retroscena del suo ultimo film: Marlowe di Neil Jordan, appena uscito negli Stati Uniti, in cui Liam Neeson interpreta il famoso detective alle prese con una scomparsa misteriosa e con l’età che avanza. Ma anche per parlare del perché, pur essendo uno degli attori più iconici della sua generazione, non ha mai voluto essere una star

 

Mi rivolge la parola inaspettatamente dopo la conferenza stampa mattutina di Marlowe di Neil Jordan, il film che chiude il festival di San Sebastián. Mentre chiedo a Jordan di autografarmi una locandina del suo Fine di una storia, Liam Neeson ci passa accanto, mi guarda e indica il piccolo poster: «Quello è un gran film!».

Lo rivedo nel pomeriggio in una suite del Maria Cristina Hotel, qualche ora prima della cerimonia conclusiva del festival e della proiezione di gala di Marlowe. Neeson è in città da meno di ventiquattro ore per la prima mondiale del film, nuova avventura noir del detective immaginato da Raymond Chandler che John Banville ha fatto rivivere nel romanzo La bionda dagli occhi neri. San Sebastián è ancora attraversata dall’elettricità festivaliera pronta a spegnersi in meno di un giorno.

È la prima volta che incontro Liam Neeson. Poco prima di partire per San Sebastián ho riguardato diverse sue interviste televisive condotte da Bobbie Wygant per la NBC negli anni Novanta. Ma quando me lo trovo davanti lo trovo diversissimo. Nell’approccio e nel look. Eppure non sembra troppo invecchiato: lo sarà anche rispetto agli anni di Star Wars: Episodio I, ma non si nota. Se lo osservi da vicino, il viso è più segnato, ma il guizzo negli occhi azzurri è intatto. Emana semplicemente un’aura diversa.

«Lo scorso giugno ho compiuto settant’anni» mi dice mentre mi siedo. «Quando da bambino pensavo ai settantenni… mi sembravano veramente vecchi! Non mi piace festeggiare i compleanni, ma quest’anno ho addirittura cancellato una cena coi miei due figli la sera del mio compleanno: ero troppo triste!».

 

Eppure non è molto diverso rispetto a come l’abbiamo vista in Schindler’s List o in Michael Collins

È il make-up! E credo che recitare faccia rimanere giovani. Usiamo la nostra immaginazione come ragazzini… il nostro lavoro è fingere, del resto.

In Marlowe sull’età fa ironia. Soprattutto quando dice di essere troppo vecchio…

Intende la sequenza in cui vado dalla sorella della persona scomparsa, vero? E arrivano quei due tizi, c’è un combattimento. Mentre ero fuori camera ho scherzato: “Sono troppo vecchio per tutto questo!”. A Neil è piaciuto. “Teniamo la battuta nel film!” mi ha detto. E l’ha inserita nella sceneggiatura.

Detective. Neeson in Marlowe, diretto da Neil Jordan. Negli USA il film è al cinema dal 15 febbraio

 

Aveva già girato con Diane Kruger più di dieci anni fa. Com’è stato ritrovarsi per in film così diverso?

Bellissimo. Molte cose sono cambiate… la vita ti cambia del resto. Ma è stato molto bello.

La sensazione è che sul set vi siate divertiti.

Sì, assolutamente. Quell’atmosfera, quei costumi… Ci svegliavamo felici di andare a lavorare. Neil ha migliorato la storia originale con qualche cambiamento, rendendola unica con questa sceneggiatura fantastica.

Raccontate gli anni d’oro di Hollywood, fra gli anni Quaranta e Cinquanta…

Ho sempre adorato Spencer Tracy e Robert Mitchum.

Nostalgia?

Quella Hollywood era un altro mondo. Firmavi un contratto di cinque o sette anni e imparavi il mestiere. Si giravano cinque o sei film all’anno: un’esperienza formativa senza precedenti. Oggi le cosiddette star del cinema fanno un film all’anno, forse due. Ho sempre ammirato quel metodo di lavoro che ormai si è perso.

Liam, anche lei è una star del cinema.

Non è mai stata una mia ambizione. Non ci tenevo. Sono diventato un attore professionista attorno al 1976. Volevo fare teatro, entrare a far parte della Royal Shakespeare Company… non ho mai avuto il sogno del cinema. Poi, nel 1981, ho girato Excalibur di John Boorman, e mi sono innamorato di questo medium. John è stato un grande mentore… ma non ho mai pensato che sarei diventato una star.

Superstar. Liam Neeson a San Sebastián per la prima mondiale di Marlowe © Alex Abril/SSIFF

 

Invece è diventato un attore iconico. Ai tempi del liceo la vedevo in Michael Collins in VHS, il suo cameo in Gangs of New York di Scorsese fu folgorante, poi Kinsey

Grazie mille. Il pubblico è sempre il fattore X, adoro la sua imprevedibilità. Gli executive programmano e pensano di sapere cosa funzionerà e cosa no. Eppure ci sono film pensati per essere grandi successi che fanno flop. E altri film apparentemente insignificanti che all’improvviso prendono vita da soli, perché la gente ha bisogno di sentirsi raccontare la loro storia. Un meccanismo affascinante: è capitato anche a lei vedendo quei film, evidentemente.

Ha frequentato meno il mondo delle serie.

Lo streaming sta cambiando molto le cose. È fantastico per gli sceneggiatori: possono sviluppare storie e personaggi nell’arco di anni, con tre o quattro stagioni. Io ho sempre coltivato un leggero snobismo, invece… ho fatto diverse serie tv negli anni Ottanta, e ho trovato il processo produttivo troppo veloce. Eravamo sempre di corsa.

 

 

Ha parlato dei suoi inizi. Molti grandi attori hanno un aneddoto a riguardo… lei?

Ricordo che da giovanissimo facevo teatro amatoriale. Un giorno chiamai il Lyric Players Theatre di Belfast per chiedere di fare un’audizione. Ebbi un colpo di fortuna: rispose al telefono Mary O’Malley, che aveva co-fondato il Lyric e ne era ancora proprietaria. Le dissi che amavo recitare, che volevo diventare un professionista. Ci fu una pausa di silenzio. Poi mi chiese: [imita l’accento di Belfast, ndr] “Quanto sei alto?”. “Un metro e novantatré” ho risposto. “Puoi essere qui giovedì prossimo?”. Presi un giorno libero per raggiungere Belfast, che era a quarantotto chilometri da casa. Feci l’audizione davanti a Mary, ma non penso di aver brillato. Mi fece scendere nell’auditorium, e iniziò a dirmi che diventare un attore era duro. Mi spiegò che era imprevedibile, potevano volerci settimane o anni. E più parlava più pensavo: “Cazzo, mi sta offrendo un lavoro!”. E alla fine lo ha fatto davvero. Perché ero alto! Poi presi il treno per tornare a casa. Non avevo detto niente ai miei genitori: era l’inizio degli anni Settanta, un momento pericoloso in Irlanda del Nord. Ero in ritardo, avrei dovuto essere a casa ore prima. Ho spiegato loro dov’ero stato e che avevo avuto un lavoro a Belfast come attore. Non mi hanno parlato per due settimane.

Aveva un metodo?

Mi viene spontaneo pensare ad attori come Daniel Day-Lewis o Bob De Niro, due vecchi amici. Attori che sanno andare oltre: vivono un personaggio, lo diventano. Sa cosa disse un giorno James Cagney a una studentessa che gli chiedeva quale fosse il suo metodo? “Tesoro, entra in una stanza, pianta i piedi e di’ la verità!”. Lo ripeto ancora ai giovani studenti, se mi fanno domande su come diventare bravi attori. Quando gli fu chiesto cosa significasse recitare per il cinema, Henry Fonda rispose: “Imparare ad aspettare”. Io amo ancora quegli istanti fra ‘Action!’ e ‘Cut!’.

 

Immagine di copertina © Ulises Proust / SSIFF



Players è un progetto gratuito.

Se ti piace quello che facciamo, puoi supportarci (o offrirci una birra) comprando musica, giochi, libri e film tramite i link Amazon che trovi negli articoli, senza nessun costo aggiuntivo.

Grazie!
, , ,
Similar Posts
Latest Posts from Players