Un dettaglio della copertina de Il senso della fine, in cui la sabbia cade in una clessidra, ma sul fondo crescono fiori. Lo sfondo è blu.

La copertina de Il senso della fine, in cui la sabbia cade in una clessidra, ma sul fondo crescono fiori. Lo sfondo è blu.

Leggere Il senso della fine nell’estate del 2023 è stata una delle esperienze più stranianti che mi sia mai capitato di vivere da lettore. Mentre l’inesorabile storia d’amore scandita da Marianna Crasto bruciava tra le pagine di un mondo la cui fine era stata da poco annunciata da un’edizione speciale del TG, fuori dalla mia finestra Milano (beh, quasi) ardeva sotto i raggi dell’estate più calda nella storia della misurazione umana, senza mostrare alcun segno di cedimento. Per completare il quadro, mancavano giusto i REM con la loro It’s the end of the world as we know it (an d I feel fine) a echeggiare in sottofondo. 

È il 29 febbraio, giorno strano già di suo, quando Tito Stagno interrompe il film che ormai veleggia verso la seconda serata per annunciare dalla scrivania del suo telegiornale che il mondo hai i mesi contati. Cosa fare quando sai che la fine è prossima? O meglio, cosa ha senso fare sapendo che tutto quel che resta è un domani senza un dopodomani? Per la protagonista de Il senso della fine, la risposta è niente. E tutto. Tutto come prima: il lavoro al Magna Grecia, centro commerciale alle porte di Napoli, il viaggio in macchina in tangenziale fino al solito posto auto, i turni in cassa, il TG serale ammaliata dalla stanchezza e dalle cravatte di Tito Stagno, i pasti settimanali programmati. Per lei, la risposta è immersa in un eterno oggi senza orizzonte. 

Bloccato in questa attesa del nulla che è la fine del mondo c’è il ragazzo di DolceKasa, quello che aveva appena iniziato un cineforum con lei, che la aspetta comunque al parcheggio al mattino, che si siede al suo tavolino al pranzo, che respinge come un muro di gomma la sua ostilità, che non perde un episodio de L’uomo dei sogni, nuovo reality apocalittico che propone un’onirica àncora di salvezza a chi lo guarda. Per il ragazzo di DolceKasa, se fine del mondo deve essere, tanto vale provarci e grattare via qualcosa prima che tutto si frantumi. La pensano così anche i genitori di lei, ritrovatisi la notte dell’annuncio e partiti per una crociera verso le colonne d’Ercole dell’esistenza, goffi nelle videochiamate e incapaci di abbattere le sue resistenze. 

La sensazione di inesorabile sospensione che aleggia sopra Il senso della fine è amplificata dalla scrittura secca e asciutta di Crasto in cui risuona la resa della sua protagonista di fronte all’incapacità umana di processare ed elaborare a livello emotivo un evento che trascende la minuscola traccia lasciata dal homo sapiens sapiens nella polvere dell’universo. Attraverso i suoi occhi assistiamo inermi alle decine di reazioni differenti che esplodono nei suoi compagni di un viaggio forzato verso i titoli di coda: crisi d’ansia, saccheggi e isterie collettive, ma anche minuscole schegge di un quotidiano in cui gesti di cura e piccole/grandi prevaricazioni coesistono, in una miriade di approcci alla morte imminente tutti ugualmente incoerenti, insondabili eppure empaticamente comprensibili. 

In un panorama abbondante di opere apocalittiche, mai la fine del mondo è apparsa così così concreta e insensata, ineludibile e quotidiana, totalizzante e al contempo insignificante di fronte all’impronta infinitesimale del nostro esistere, come ne Il senso della fine

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  1. Fortezza Volante
  2. Glitch
  3. Camelot 3000
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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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