Sono passati quasi vent’anni dagli eventi di Unbreakable – Il predestinato e David Dunn (Bruce Willis) continua la sua attività di “vigilante”, coadiuvato dal figlio, che lo supporta attivamente. Il nuovo obiettivo è catturare Kevin Wendell Crumb (James Mc Avoy)e le sue molteplici personalità. Quando quest’ultimo rapisce delle ragazze, Dunn riesce a rintracciarlo e salvare gli ostaggi, ma entrambi sono catturati dalla dott.ssa Ellie Staple (Sarah Paulson) che vuole capire se davvero sono dotati di superpoteri: per far questo rinchiude nella stessa struttura anche Elijah Price (Samuel L.Jackson), che versa in un apparente stato catatonico. Le cose non andranno per il verso giusto…

Ultimo capitolo della più improbabile delle trilogie (il collegamento tra Unbreakable e Split avveniva solo grazie ad una breve sequenza post-crediti e ai tempi sembrava essere un’ottima idea) Glass è una clamorosa, incredibile, pazzesca occasione sprecata. Lo script di M. Night Shyamalan è probabilmente il meno convincente della sua oramai lunga carriera e butta via tutto l’ottimo lavoro svolto nei primi due film che, visti retroattivamente, finiscono alla luce di quest’ultimo col perdere la propria identità. Insomma, peggio di così non poteva andare.

Glass appare completamente sbilanciato, da qualsiasi punto di vista lo si voglia esaminare: dopo un incipit teso, cupo e piuttosto promettente, inizia un estenuante fase ospedaliera verbosissima e francamente senza senso, durante la quale il personaggio della Staple (scritto male e interpretato peggio da una svogliatissima Paulson, che probabilmente credeva di essere ancora sui comodi set televisivi di American Horror Story) cerca di convincersi e convincere il pubblico che i tre “eroi” non sono tali, un clichè talmente abusato da risultare ammorbante e stantio dopo pochi minuti.

La storia, molto a fatica, riesce poi a evolversi e aumentare di intensità ma viene letteralmente ammazzata dal doppio twist finale (marchio di fabbrica di Shyamalan, e molto spesso emozionante e ben riuscito, basti pensare a Il Sesto Senso o The Village) che stavolta è assolutamente risibile, forzato oltre ogni limite, senza alcun senso, introdotto come peggio non si potrebbe, affogato negli spiegoni e buttato lì tanto per. La stessa regia convince poco e il confronto con Unbreakable, le cui sequenze vengono rievocate tramite dei flashback, sta lì a dimostrarlo, piuttosto impietosamente. Laddove nel film del 1999 la tensione e il mistero la facevano da padroni, in Glass tutto viene buttato in caciara o in chiacchiera. Poco ritmo, eccessiva verbosità, trama a tratti demenziale: la forzatura dello script per far sì che i tre personaggi di supporto (la madre di Price, il figlio Dunn e la “vittima” di Crumb), si conoscano e interagiscano tra loro sfiora il patetico.

Un vero peccato, quindi, anche alla luce della strepitosa performance di James Mc Avoy (e relativo doppiatore, per una volta) e di Samuel L.Jackson, che caratterizzano al meglio i loro personaggi, cosa che teoricamente potrebbe fare anche Bruce Willis, se non fosse clamorosamente sottoutilizzato. Fra tutte le strade che poteva percorrere con i personaggi che aveva a disposizione, Shamalayan ha scelto la peggiore, assemblando un film troppo ambizioso che crolla su sè stesso come una castello di carte alla prima folata di vento. Il consiglio è quindi non solo di evitare accuratamente la visione di questo scempio, ma anche di dimenticare quei trenta secondi di collegamento tra Unbreakable/Split e Glass, in modo da preservare il buon ricordo dei primi due film e lasciar scivolare questo nell’oblio, unica sorte che si merita.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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