Gli adattamenti cinematografici delle opere letterarie più “classiche” ed importanti sono spesso un campo minato, sul quale innumerevoli registi e sceneggiatori sono saltati per aria. Il Grande Gatsby, probabilmente uno dei dieci romanzi americani più importanti nella storia della letteratura mondiale, vergato dalla penna di Francis Scott Fitzgerald nel 1925, ha subito innumerevoli riduzioni (termine inevitabile, quando di parla di classici) proiettate su schermi grandi o piccoli ed ogni volta il gap tra l’efficacia ed il fascino della parola scritta e lo spettacolo delle immagini in movimento si è sentito in modo più o meno evidente.

Baz Luhrmann, per raccontare l’ascesa e la caduta rovinosa di un arrampicatore sociale, sceglie il suo classico mix di dramma e commedia, iconografia classica e musica pop (che a volte “suona maluccio”), toni sgargianti e colori supersaturi. L’approccio è efficace e convincente, purchè lo spettatore capisca subito che per godersi appieno lo spettacolo bisogna venire a patti con le scelte stilistiche effettuate dal regista, che possono talvolta (e a buon diritto) far storcere il naso ai più integralisti.
La prima parte del film, più grottesca, sardonica e brillante, sembra trasformare l’epopea di Gatsby in una commedia d’avanspettacolo con gag e sequenze quasi dichiaratamente comiche che lasciano inizialmente interdetti.

Proprio questa scelta finisce per rendere più efficace il cambio di registro che avviene a metà film, che termina con un climax palpitante durante il quale però, le immagini devono cedere il passo alla letteratura, che esce ancora una volta trionfante dal confronto con la settima arte. A destare maggiori perplessità è invece la storia d’amore tra i protagonisti, raccontata in modo eccessivamente schematico e semplicistico, quasi del tutto priva di quel pathos che si percepisce maggiormente quando l’attenzione dello script si sposta su orizzonti più ampi e sul rapporto di “stretta amicizia” tra Gatsby e Nick Carraway. Se lo spirito ed il messaggio del romanzo restano intatti, la forma scelta per raccontarli sarà inevitabilmente oggetto di polemiche e divisioni.

Ad essere universale dovrebbe essere invece il plauso verso Leonardo di Caprio, che firma l’ennesima, convincente, performance. Degno erede del Robert Redford classe ’74, l’attore propone un Gatsby nervoso, irrequieto, sopra le righe, ma anche capace di sciogliersi in tenerezze quasi infantili; un ibrido tra lo Hughes di The Aviator e il Calvin Candie di Django. Il suo arrivo in scena, contrappuntato dalla musica di George Gershwin è il giusto tributo ad un’icona leggendaria. Anche il resto del cast piace, seppur tra alti e bassi: Maguire è una garanzia quando si tratta di impersonare personaggi (fintamente) secondari, osservatori straniti ed increduli di realtà più grandi di loro (e, diciamolo, la “naturale” faccia da fesso dell’ex Spider-man aiuta molto, in questi casi). Maggiori perplessità ammantano la prova di Daisy/Carey Mulligan, oggettivamente troppo poco affascinante ed incisiva, che soffre terribilmente il confronto con la algida e statuaria Elizabeth Debicki, specie nei pochi momenti in cui le due devono condividere la scena.

Detto che per godere appieno dell’opera servirebbe vederla in lingua originale e che l’inconcepibile 3D brilla per assoluta inutilità (certo che se iniziano a usarlo anche per pellicole di questo genere finisce male..), questo “nuovo” Gatsby conferma l’estro creativo di un regista mai banale, capace di giocare meglio in trasferta che in casa (Australia…), che riesce a confezionare in primis un bel film ed in seconda istanza una efficace trasposizione di un superclassico, senza far rimpiangere le versioni di Clayton e Nugent. Ad ogni generazione il suo Gatsby…



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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