Perché noi siamo africani in America. Qualcosa di nuovo nella storia del mondo, senza modelli per ciò che diventeremo
Circa 400 mila africani furono deportati nel Nord America attraverso la rotta transatlantica, e si stima che 42 milioni di afro-americani siano loro discendenti, persone che possono risalire solo parzialmente lungo l’albero genealogico per rintracciare le proprie ascendenze e che, al contrario di – per esempio – irlandesi e italiani, non potranno mai arrivare a stabilire con esattezza un Paese, una città, un luogo geografico in cui fissare un punto di origine prima dell’arrivo dei loro antenati negli attuali Stati Uniti.
Cora, la protagonista sedicenne de La Ferrovia Sotterranea, è una schiava di terza generazione, nata in una piantagione della Georgia come sua madre prima di lei. Sua nonna, imprigionata e deportata dal Paese di origine, è l’unica della famiglia ad aver quindi vissuto una prima vita da persona libera. La protagonista non riesce neanche a immaginare, non ha neppure i mezzi mentali per figurarsi il concetto di libertà applicato alla sua condizione di schiava, sa già che nascere in una piantagione significa essere senza destino, di esistere solo per essere utilizzata con forza, violenza e sopraffazione fintanto che non avrà esaurito la sua utilità per i padroni.
Lo spirito di Cora, nonostante tutto, è ancora indomito e non completamente sottomesso alla terrorizzata rassegnazione che sopraggiunge dopo anni di violenze subite e testimoniate. L’ennesima brutalità ai danni di altri schiavi da parte dei proprietari della piantagione la spingono infine ad accettare la seconda proposta di fuga di Caeser: il piano è di usare la ferrovia sotterranea.
Colson Whitehead si è intrattenuto per circa quindici anni con l’idea alla base del romanzo. Underground railroad è l’espressione con la quale si indicava la rete, il network di strade e rifugi sicuri creata dagli abolizionisti per aiutare gli schiavi in fuga. La suggestione di Whitehead è stata quella di rendere in senso letterale l’espressione ed ecco che la ferrovia sotterranea diventa reale, concreta, scavata nel sottosuolo attraverso caverne, gallerie e anfratti, un’opera d’ingegno dell’uomo per fornire ad altri uomini e donne una via d’uscita dagli Stati del Sud, un luogo fisico che diventa paradigma della coscienza che scorre nelle viscere dell’America senza poter affiorare liberamente in superficie.
Ma se l’escamotage utilizzato è opera di fantasia, la rappresentazione della condizione degli schiavi è basata sulle certosine ricerche dell’autore che, dopo tre libri con protagonisti maschili, utilizza una voce e un corpo femminile per raccontare la storia di una nazione la cui ricchezza è stata costruita in parte proprio sul corpo degli schiavi.
L’evasione di Cora, scandita da episodi di violenza intervallati da brevi parantesi di serenità, riesce però a essere molto di più del resoconto, seppure romanzato, di una fuga tanto che termini quali “avventuroso” e “avvincente” non sono fuori luogo nonostante la materia prima del racconto.
La Ferrovia Sotterranea è a suo modo anche un romanzo di formazione: è in fondo la storia di una giovane donna nel pieno della sua maturità sessuale, pervasa dal desiderio di maternità, ma anche afflitta dal triste rancore per aver subito l’abbandono della propria madre. E il rapporto madre-figlia, seppure tratteggiato per assenza e sottrazione, si accompagna a un tema apparentemente secondario che percorre tutta la narrazione: la prole, il diritto – negato – di poter crescere i propri figli. Il controllo esercitato dai bianchi sui figli delle persone di colore è né più né meno che la prova tangibile del furto del futuro operato sistematicamente ai danni degli afro-americani.
La Storia recente, anzi l’attualità recente, rendono la lettura di questo libro ancora più significativa a livello politico e sociologico, travalicando forse anche le intenzioni originarie dell’autore. Una lettura emotivamente difficoltosa ma sempre agevole e decisamente consigliata.
La ferrovia sotterranea, libro vincitore del premio Pulitzer nel 2017, è edito in Italia da Edizioni Sur nella traduzione di Martina Testa.
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