Bruttissima giornata per Lee Gates, reginetto adagiato sugli allori dello sciacallaggio mediatico, squalo dell’intrattenimento finanziario televisivo, venditore laccato e schizzinoso (George Clooney scimmiotta gli anchorman brillanti e furbetti come Fallon e Meyers) che sciorina trucchi per diventare milionari a boccaloni e poveracci. Ma uno di loro (Jack O’Connell, ancora una volta strepitoso), dopo aver investito e perso migliaia di dollari in una società fallita in un soffio, non ci sta e irrompe nello studio dove va in onda il suo becero show Money Monster, lo minaccia con una pistola e gli fa indossare un giubbotto provvisto di esplosivo che promette di far detonare se non avrà delle risposte. Lee dapprima si spaventa, poi cerca di mediare, infine sposa la sua causa, guidato nell’azione dalla regista Poppy, che dietro le quinte manovra la (messin)scena e cerca affannosamente vie di fuga.

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Telecamere accese, diretta, pedine in campo microfonate, ed ecco che la tragedia viene spettacolarizzata, diventa teatro lucrativo per attirare occhi e suscitare tensione sensazionalistica, nella fase più interessante del film: in uno dei momenti topici, Gates tenta di sfruttare a suo vantaggio i superpoteri del medium, testimone e carnefice del valore umano che crolla inesorabile (alla maniera di Peter Weir assistiamo al silente coro degli spettatori guidati dai sommovimenti narrativi, ma mai forze agenti).

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Poi il pagliaccio dello showbiz e il folle scoprono di avere nulla in comune (appunto: il nulla), di esser due Davide contro un Golia insidioso e indistruttibile (possono solo procurargli qualche crepa, per qualche attimo di gloria) e che purtroppo nel mondo della finanza e della televisione (a qualsiasi latitudine/longitudine), come il cinema e la storia ci insegnano, trovare i buoni è più difficile che beccare l’ago nel pagliaio.

Happy end? Non cercatelo nell’investigazione condotta con lucida indignazione ma nella giusta distanza della Foster che, come Poppy, ambisce ad avvincere il secondo pubblico, l’arena esterna – noi -, e allo stesso tempo trascinarci nel vivo del dramma sulla pelle nei gladiatori sanguinanti e trionfanti, pronti, mentre le luci si riaccendono, a rientrare nei ranghi e cambiare canale.



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