Galen Erso, scienziato deus ex machina dietro alla costruzione della Morte Nera vuole vendicarsi dell’uccisione della moglie da parte dell’Impero e dell’abbandono dell’amata figlia Jyn, che viene affidata a Saw Gerrera, un ribelle che agisce fuori dagli schemi. Nel realizzare la temibile stazione da battaglia, Erso crea così una falla invisibile, che potrà essere usata dai ribelli per il suo annientamento. Jyn, cresciuta e diventata una coraggiosa guerriera, viene reclutata dalla Ribellione per impadronirsi dei piani della Morte Nera e porre fine alla tirannia dell’Imperatore…
L’unico difetto, anzi, limite, di Rogue One: A Star Wars Story, è la sua collocazione temporale, che fissa in modo netto ed inequivocabile il perimetro al cui interno trama e personaggi possono muoversi. Lo spettatore sa già che fine faranno i ribelli, la Morte Nera e Dart Fener (pardon, Darth Vader) e questo, nonostante lo script di Chris Weitz e Tony Gilroy cerchi (riuscendoci, spesso) di farglielo dimenticare, rende il film un po’ meno accattivante di quanto non sarebbe successo se l’opera fosse stata dedicata ad eventi “nuovi” ed inediti (ma per quello c’è Episodio VIII, in arrivo tra un anno).
Detto ciò, Rogue One – A Star Wars Story è tutto quello che un appassionato di Guerre Stellari potrebbe chiedere ad un episodio “parallelo” alla saga principale. I nuovi personaggi sono quasi tutti interessanti, a cominciare dalla protagonista, una valida Felicity Jones, per arrivare alla coppia dell’anno, formata dai guerrieri Donnie Yen/ Chirrut Îmwe e Jiang Wen/Baze Malbus che da soli valgono il prezzo del biglietto. E’ anche (anzi, soprattutto) grazie a loro che finalmente, dopo sette film, i combattimenti di Guerre Stellari assumono anche una dimensione fisica e non consistono solo di una serie infinita di spari al plasma e coreografici colpi di spade laser. Anche il “villain”, interpretato da un ottimo Ben Mendelsohn, tutto sommato convince e riempie il vuoto lasciato da Darth Vader, che si ritaglia solo due (fantastici) cameo.
Rogue One – A Star Wars Story ha un passo diverso e più spedito rispetto ai classici episodi della saga: tutta la seconda parte del film è una gigantesca battaglia combattuta tra aria, mare e cielo, splendidamente diretta da Gareth Edwars, che con la sua regia riprende e amplifica il mood sporco e tecnologicamente “avanzato ma non troppo” della trilogia originale, che aiuta la storia ad inserirsi perfettamente nei canoni stabiliti dall’Universo senza fine di Star Wars.Forse c’è meno umorismo rispetto al passato, la spalla comica non convince del tutto e i dialoghi non saranno memorabili come quelli della trilogia originale, ma c’è tanto ottimo mestiere in questo Rogue One, oltre ovviamente ad effetti speciali fuori parametro.
Il finale poi è assolutamente strepitoso, specie per gli appassionati “storici” della saga, visto che il raccordo con Episodio IV avviene in maniera così naturale e logica da lasciare estasiati e/o ululanti sulla poltrona del cinema e rappresenta al meglio la continuity che, incredibilmente, Disney sta gestendo alla grande, pure con episodi realizzati “a posteriori”. Bocciata è invece la colonna sonora del film, composta da Michael Giacchino che sfigura rispetto agli originali (Rogue One è la prima pellicola in live-action della saga di Star Wars a non avvalersi delle musiche di John Williams).
Sia preso come film stand alone che come episodio atipico inserito nel flusso spaziotemporale dell’Universo infinito ideato quarant’anni fa da George Lucas, Rogue One – A Star Wars Story è esattamente quello che dice di essere: una (bella) storia di Guerre Stellari. Datecene ancora.
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il film è abbastanza bello ma non mancano 3 o 4 cadute nella trama e l’immancabile, insopportabile, snervante scena (addirittura due volte) in cui il protagonista rimane appeso per una mano su un baratro… scena ormai presente in OGNI film di fantascienza senza che nessuno ci abbia spiegato perchè
in star wars è una costante da ep. 5, ormai