Tutti i nodi arrivano al pettine e con un colpo di spazzola deciso Paolo Sorrentino chiarisce il senso dell’intera operazione Loro 2. Il secondo capitolo del dittico che il regista de La Grande Bellezza di certo non cancella completamente la sensazione piuttosto bizzarra che lascia un film che ha tutti i presupposti per essere una grande operazione che si apre e si esaurisce in due pellicole brevi, ravvicinate per distribuzione, veloci per ritmo, fulminanti per battute ma soprattutto con un certo retrogusto di istantaneità.

Se un certo senso di smarrimento dopo Loro 1 e il suo discorso interrotto sul più bello era comprensibili, Loro 2 richiede una presa di posizione più netta anche a noi spettatori, scoprendo finalmente le carte in tavola, chiarendo la distanza tra questo tentativo di ritrarre Berlusconi e i tanti che lo hanno preceduto.

Certo Loro 1 non era semplicissimo da decifrare, ma tirare in ballo Nanni Moretti e Il Caimano è stata comunque una carognata. So tratta di due progetti cinematografici con lo stesso soggetto da mettere a fuoco, ma non potrebbe esserci distanza più grande tra le inclinazioni e il gusto dei due registi coinvolti e quindi tra il senso delle due operazioni. Criticare Loro 1 in quanto film fin troppo accondiscendente con Berlusconi significa ignorare quello che Sorrentino racconta, forzando un parallelo comparativo con un collega la cui posizione politica generale e rispetto al Caimano in particolare è sempre stata più che esplicita.

Come andavo già dicendo per Loro 1, di politico nella visione sorrentiniana (che tra l’altro non fotografa l’apice del personaggio pubblico, ma l’inizio della lunga parabola di discesa, il viale del tramonto) c’è giusto il scenario della storia, il cruccio che Berlusconi nutre dopo il suo allontanamento momentaneo dalla scena governativa italiana. Se nella prima parte Sorrentino è interessato a raccontare l’Italia modellata sul calco del premier, dove l’ultimo dei truffaldini faccendieri ha una vita e aspirazioni che rispecchiano e copiano in piccolo quelle del Cavaliere, nella seconda parte il soggetto del racconto è Berlusconi uomo.

Qui viene a cadere ogni supposta accondiscendenza di Sorrentino nei confronti del personaggio, senza però mai negargli un’umanità dolente e stanca. Berlusconi in Loro 2 è spesso sopraffatto dallo squallore del modello che gli si è cucito addosso, dalla fila senza fine di saltimbanchi, cospiratori e donne disinibite che assediano ogni minuto della sua esistenza.

Non c’è commiserazione o patetismo nello sguardo di Sorrentino, che anzi si fa via via più tagliente, mentre chiarisce quel che gli sta a cuore spiegare: l’impossibilità dell’operazione che sta compiendo. Anche se perde qualche colpo, la macchina berlusconiana è talmente rodata nel vendere un’immagine e una persona (il Presidente sì, ma di cosa? Del partito, della squadra, delle industrie che ha ceduto ai figli?) che al governo Berlusconi ci tornerà, anche se è palesato quanto poi di governare non gli importi davvero nulla.

A farlo fremere è il brivido della sfida, per lui che viene ritratto come il venditore perfetto, un modello capace di sdoppiarsi (geniale l’inserimento di Ennio Doris in quei termini) e moltiplicarsi sui vari livelli sociali dell’Italia, di far leva sul bisogno altrui per vendere un sogno e fare il proprio tornaconto. Il venditore è l’uomo più solo del mondo, postula Doris, che non ha capito fino in fondo lo stimato amico imprenditore.

Dietro questa e un’altra frase cult riccorrente del film (io non mi offendo mai) Sorrentino fa a poco a poco emergere la schiacciante verità sul Cavaliere: il suo essere isolato è un esilio assolutamente volontario, accuratamente pianificato con muri che vengono tirati su tra lui e loro, distanziando sé stesso da ogni persona e possibilmente coinvolgimento.

Mentre dentro e fuori il film tutti si sono affannati a tentare di catturare l’essenza dell’ex premier – dai grandi premi Nobel letti da Veronica del film a una sinistra che la moglie di Berlusconi definisce “una grazia” per come sia stata al gioco del coniuge – Sorrentino suggerisce la realtà più scomoda di tutte: che dietro la maschera di cerone di Servillo e il muro di battute e bagarre dietro cui si nasconde Berlusconi non c’è sangue, ma un vuoto gelido e siderale.

L’operazione Loro arriva molto vicina a guardare dentro l’animo del Cavaliere, a lasciarci intravedere se ci sia qualcosa dietro la maschera. Il merito è del personaggio che si rivela ancora una volta centrale e sin troppo esplicitamente utilizzato da Sorrentino come mezzo per raggiungere un fine.

Veronica Lario nel climax del film tenterà e poi supplicherà il marito di strapparla la maschera, ma anche per lei è impossibile e doloroso, perché attiva ogni meccanismo di difesa del coniuge. Berlusconi la sua scelta l’ha fatto tempo prima, quando si è chiuso nel suo silenzio sulle origini della sua fortuna e del suo mito: ed è proprio in quel silenzioso reiterato che Paolo e Veronica trovano le risposte che vogliono, che ritraggono un uomo con le peggiori intenzioni.

Certo non tutto funziona benissimo in un film che continua a provare nuovi stili, tentando di mettere a fuoco Sorrentino, un cineasta che ancora una volta intavola una variazione sul tema dell’uomo solo, che dell’amore rimpiange soprattutto una memoria e la cui sensibilità lo costringe ad essere arbitro degli altri e a non poter mai essere vittima di sé stesso.

Dei tempi d’oro del vecchio Sorrentino manca l’infallibile gusto del regista che istintivamente sa cosa tenere e cosa no, cosa esalterà il suo cinema e cosa risulterà quasi una parodia di sé stesso. Non si può però non notare un’evoluzione migliorativa di questo Sorrentino che sperimenta i suoi confini e che indulge molto meno del recente passato ai suoi vizietti e alle sue manie, approcciando con pragmatismo il racconto cinematografico, buttandola sul giovane, sull’esterofilo o ancora quasi sul commerciale quando l’alternativa sarebbe tornare ad essere quasi la parodia di sé stesso.

La differenza tra un uomo politico finito e un regista in evoluzione sta tutta lì: Paolo Sorrentino è ancora un cineasta alla ricerca di sé stesso e del suo stile. Non è detto che quel poi trovi qualcosa, né che tantomeno sappia tornare ai livelli altissimi degli esordi, ma a differenza del suo Berlusconi sta dimostrando la forza di non ricadere nei suoi stessi schemi senza tentare di romperli, la tenacia di fare errori, sì, ma farne di nuovi, per evitare il brusco risveglio che ritrae tanto poeticamente (e per una volta senza nemmeno un briciolo di compiacimento) nella magistrale sequenza finale del film.

Sorrentino si è insomma riscosso dal suo stesso torpore degenerativo per evitare lo scossone letterale che costringe l’Italia di Loro 2 a svegliarsi e a guardare le macerie in cui l’ha gettata un uomo che è profondamente disinteressato del destino del suo paese, come di quello di chiunque altro abbia ceduto alle sue sirene di venditore. Chiamarla accondiscendenza sembra un tantino esagerato insomma.

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Questa recensione è apparsa in origine sul blog di Elisa, Gerundiopresente.



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