Terzo appuntamento con la rubrica #SoLongItaly, nella quale raccontiamo le vicissitudini di giovani italiani che sono andati a vivere e lavorare all’estero: stavolta Mauro Gatti, celebre illustratore e creativo, ci racconta la sua avventura americana.

Chi sei, quanti anni hai, da dove vieni, cosa fai nella vita?

Mauro Gatti, 37 anni, bresciano d’origine (nello specifico di Palazzolo sull’Oglio) e nella vita faccio il creativo. Da sempre innamorato del digitale e delle sue infinite possibilità e di arte e illustrazione, ho cercato negli anni di coniugare queste due passioni e costruirci una carriera. Partendo dall’epoca dei cd-rom per arrivare a quella della virtual reality, ho esplorato diversi business e settori prima come freelance, poi come imprenditore e ora come creative director in una realtà estera.

Attualmente dove ti trovi e da quanto hai lasciato l’Italia?

Attualmente vivo a Los Angeles in California, il 16 Novembre sarà un anno che mi sono trasferito.

Cosa ti ha spinto ad abbandonare l’Italia? (leggi: cosa manca nel nostro Paese che invece hai trovato dove ti trovi ora?)

Dopo circa 20 anni di esperienza in Italia con alle spalle innumerevoli collaborazioni e diverse aziende/imprese avviate, ho deciso che fosse giunto il momento di fare una nuova esperienza in un paese che da sempre rappresenta l’avanguardia tecnologica nel settore digital. Negli ultimi anni mi sono sempre più appassionato al settore casual gaming/digital entertainment e la California è un enorme incubatore di talenti ed idee dove trovare risorse, fare networking o proporre le proprie idee è molto più semplice rispetto all’Italia.
Chiaramente la curiosità non è stata l’unico motivo che mi ha spinto a trasferirmi a 10000km di distanza, hanno contribuito a questa decisione anche la sempre più impietosa morsa fiscale, la lentezza nell’avviare programmi per sviluppare idee di imprese digitali e la totale assenza di tutela per l’imprenditoria giovanile, ora più che mai costretta a sacrifici e austerity per fare cose che negli altri paesi si possono fare serenamente anche grazie a programmi di sviluppo specifici.

Qual è la maggiore differenza che hai riscontrato, in ambito professionale, tra il modo di lavorare nel Paese in cui ti trovi e l’Italia?

Il problema dell’Italia sono le infrastrutture e la cultura a sostegno del digitale, non la volontà o il talento dei singoli professionisti. In termini di problem solving, velocità di esecuzione e creatività non abbiamo nulla da invidiare a nessun paese del mondo, il deterrente maggiore è che in Italia per costruire qualcosa bisogna faticare dieci volte di più rispetto ad un paese come gli Stati Uniti, dove un’idea vale tantissimo e trovare degli interlocutori che possono finanziare il proprio progetto è molto più semplice. Qui la mentalità è tutta basata sul rischio e sull’innovazione, non c’è successo senza sfida e il fallimento non è visto come un’infamia ma solo come un naturale step sulla via del successo. Sono convinto che se in Italia ci fossero più agevolazioni, infrastrutture ed investimenti sull’imprenditoria giovanile non ci sarebbe questo incredibile gap tra noi ed i paesi che credono fortemente nel digitale.

E la differenza “non professionale” (vale tutto: clima, cibo, abitudini, atteggiamento delle persone)?

Il clima è sicuramente un punto a favore della SoCal. Vivere a Venice a 5 minuti dal mare ha cambiato il mio modo di vedere le cose e mi ha dato un’energia nuova. Qui non piove quasi mai (infatti la siccità è un problema sempre più grande) e c’è sempre una temperatura incredibile, mai troppo calda e con una brezza marina costante. Se ci si inoltra verso l’interno in direzione downtown invece il clima diventa pre desertico ed avere un condizionatore sempre acceso è indispensabile per non sciogliersi! Le persone sono estremamente gentili, Venice è famosa per ospitare ex hippies, artisti e creativi ed è incredibile (all’inizio persino inquietante) come tutte le persone vogliano scambiare 2 parole o sorridere e salutare, per non parlare dei vicini che ci lasciano prodotti dei loro orti casalinghi o piccoli regali quando tornano dai loro viaggi. Anche sul versante cibo, essendo vegano, posso solo dire di aver migliorato la mia qualità di vita. Ogni ristorante, anche i più carnivori, hanno sempre opzioni vegan (e non parlo di misere insalate) e c’è un’incredibile selezione di ristoranti crudisti, vegetariani o vegani, così tanti che in un anno non sono ancora riuscito a provarli tutti!

Quali sono le maggiori difficoltà “operative” che si riscontrano quando si lascia l’Italia per andare all’estero?

La VISA. Gli Stati Uniti sono un paese di grandi opportunità ma proprio per questo riuscire ad avere un visto è una procedura complicata e senza il supporto di uno “sponsor” americano diventa difficile accedere ad un visto che permetta di lavorare serenamente. Per il resto la burocrazia qui è molto più semplice e meno intricata di quella italiana, per avere assegnato il Social Security Number (una sorta di codice fiscale) bastano un paio d’ore e la patente la si può prendere in un paio di giorni.

C’è qualcosa nel Paese in cui ti trovi che non è come te lo immaginavi prima di viverci?

Avevo visitato gli States molte volte prima di trasferirmi per cui avevo ben chiari pro e contro della mia scelta ma onestamente sono stato sorpreso dal numero di risvolti positivi del vivere qui. È chiaro che, come dico sempre, mi mancano gli italiani e non l’Italia. Ho vissuto 37 anni in una nazione ed il parlare un’altra lingua, rapportarmi con una cultura diversa dalla mia e ripartire in un altro continente sono nuove sfide ma basta una camminata con i cani sulla spiaggia la mattina per convincermi che in questo momento questa è la mia casa.

Cosa ti spingerebbe a ritornare in Italia?

Dovrebbero cambiare tante, forse troppe cose. Ho dato tutto quello che potevo dare, sia fiscalmente che come energie, per cui ora preferisco tornarci come turista.

Che consiglio daresti ad una persona più giovane di te che volesse intraprendere la tua stessa professione?

Credere nelle proprie idee, non aver paura di fallire, trovare persone motivate dalla stessa passione e se non si trovano risorse in ambito local di alzare la testa, prendere coraggio e viaggiare.

Ultima domanda: consiglia, motivandolo, un film/libro/gioco/disco ai nostri lettori (uno in assoluto, non uno per categoria!)

The Wizard of Oz (1939). The Wizard of Oz è stato il primo blockbuster movie della storia del cinema e ci sono tantissimi validi motivi per cui questa pellicola è per me la migliore mai realizzata e per aver influenzato il mio percorso di vita e professionale. Dietro all’incredibile e immortale storia, scenografie, effetti speciali, musica, costumi ed attori c’è un ventaglio unico di valori fondamentali come l’ottimismo, l’importanza delle proprie origini, l’amicizia, la possibilità per ognuno di noi di essere felici e la fortuna di avere in noi tutto ciò che ci serve per crescere e migliorare. E poi le note di Somewhere Over the Rainbow riescono a far sorridere anche la persona più negativa e catastrofica!

www.maurogatti.com
https://www.behance.net/maurogatti

Le altre puntate di #SoLongItaly

1-COME DIVENTARE SPACECRAFT ANALYST A DARMSTADT
2-COME DIVENTARE INSEGNANTE DI VIDEOGIOCHI A SINGAPORE
3-COME DIVENTARE UN CREATIVO A LOS ANGELES
4-COME DIVENTARE FOTOGRAFO A MELBOURNE
5-COME DIVENTARE CURIOSO AD AMSTERDAM
6-COME FARE IL VISUAL DESIGNER A NEW YORK
7–COME DIVENTARE IMPRENDITORE A HOLLYWOOD
8-COME ANDARE A FARE IL PROGRAMMATORE ALLA WETA A WELLINGTON
9-COME DIVENTARE MEDIEVISTA A LEEDS
10-COME LAVORARE NEI VIDEOGIOCHI A LONDRA
11-COME DIVENTARE PRODUCT DESIGNER A PALO ALTO
12-COME INSEGNARE CULTURA ITALIANA A NEW YORK
13-COME FARE IL DESIGNER A LOS ANGELES
14-COME DIVENTARE ATTORE A LOCARNO
15-COME FARE IL FILOSOFO A SAN FRANCISCO (E UN PO’ OVUNQUE)



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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