Se lo stivale cola a picco, la cultura italiana ha ancora estimatori.Come si possa insegnarla a NY, ce lo racconta Tina Sebastiani docente di lingua e cultura italiana alla New York University da dieci anni.

Chi sei, quanti anni hai, da dove vieni, cosa fai nella vita?

Mi chiamo Tina Sebastiani, ho 41 anni e mi considero cittadina del mondo. Mi sono laureata all’Università di Siena in Storia del Teatro e specializzata in Didattica della Lingua Italiana a Stranieri. Sono docente di lingua e cultura italiana alla New York University da dieci anni.

Attualmente dove ti trovi e da quanto hai lasciato l’Italia?

Abito nel cuore di Harlem a Manhattan (New York) e sono negli Stati Uniti dal giorno di Natale del 2000. Da allora ho insegnato nelle più famose università americane tra cui il Dartmouth College in New Hampshire, il Bennington College in Vermont e la Columbia University a New York.

Cosa ti ha spinto ad abbandonare l’Italia? (leggi: cosa manca nel nostro Paese che invece hai trovato dove ti trovi ora?)

Ha influito tantissimo la mia curiosità e l’entusiasmo di potermi confrontare con nuove culture, imparare l’inglese e avere un lavoro ben retribuito.

Qual è la maggiore differenza che hai riscontrato, in ambito professionale, tra il modo di lavorare nel Paese in cui ti trovi e l’Italia?

Il rispetto per il lavoratore e il trattamento economico. Qui il carico di lavoro settimanale è inferiore rispetto a quello che avevo in Italia e percepisco mensilmente una retribuzione più alta. In Italia lavoravo sempre nell’ambito universitario venendo pagata dopo mesi e lavorando il doppio rispetto a quanto lavoro qui.

E la differenza “non professionale” (vale tutto: clima, cibo, abitudini, atteggiamento delle persone)?

New York è un crogiolo di razze e culture che hanno imparato a convivere nel rispetto delle differenze e trovo che ci sia molta più civiltà qui che altrove. In genere la gente è meno espansiva e socievole e questo mi dispiace un po’, ma per fortuna ci sono tanti amici italiani che frequento. Ci si adatta a tutto col tempo e anche la rigidità climatica che si riscontra a gennaio e febbraio non mi fa più paura. Per quanto riguarda il cibo a New York si trova tutto e devo dire che la pizza in alcuni posti è anche più buona.

Quali sono le maggiori difficoltà “operative” che si riscontrano quando si lascia l’Italia per andare all’estero?

È importante conoscere l’inglese, ma non fondamentale all’inizio. Avere già dei contatti e sapere cosa si vuol fare può aiutare. Occorre tanto spirito d’iniziativa, pazienza e flessibilità per affrontare la ricerca di un lavoro qui come dappertutto. Se non si ha un visto lavorativo con un po’ di risparmi da investire e l’aiuto di un buon avvocato, a volte, è possibile trovare una soluzione. Inoltre c’è la lotteria per la green card, ho diversi amici che hanno ottenuto il visto così.

C’è qualcosa nel Paese in cui ti trovi che non è come te lo immaginavi prima di viverci?

Sono passati già diversi anni da quando sono andata via. Ora è come se fossi sempre vissuta qui. Indubbiamente grazie alla televisione, al cinema e alla musica lo shock culturale è stato notevolmente attutito.

Cosa ti spingerebbe a ritornare in Italia?

Me lo chiedo da anni e non trovo ancora una risposta. Ho provato a rientrare in Italia almeno un paio di volte, ma sono sempre tornata sui miei passi.

Che consiglio daresti ad una persona più giovane di te che volesse intraprendere la tua stessa professione?

Innanzitutto fare un percorso di studi specialistico. È importante essere degli esperti in un ambito preciso. Non demordere in caso di rifiuto, insistere e credere in quello che si vuole. Imparare ad essere minimalisti e a stare da soli, avere la curiosità di conoscere posti nuove e persone.

Ultima domanda: consiglia, motivandolo, un film/libro/gioco/disco ai nostri lettori (uno in assoluto, non uno per categoria!)

C’è una frase del libro “Le mie parole per te” di Chiara Marchelli, mia cara amica e collega, che potrebbe far riflettere chi ha voglia di andare a vivere all’estero.

«Tornando ho capito una cosa che prima di andare via uno non sa mai,» dico «una volta partiti, si è andati per sempre. Non si apparterrà mai completamente al luogo dove si va e non si sarà mai più di quello che lasciamo. Non si sanno queste cose, prima. Bisognerebbe che qualcuno le dicesse”.

Se hai un portfolio, blog, sito, pagina social, campagna kickstarter che avresti piacere fosse pubblicata, posta il link qui sotto.

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Previously, on #SoLongItaly

1-COME DIVENTARE SPACECRAFT ANALYST A DARMSTADT
2-COME DIVENTARE INSEGNANTE DI VIDEOGIOCHI A SINGAPORE
3-COME DIVENTARE UN CREATIVO A LOS ANGELES
4-COME DIVENTARE FOTOGRAFO A MELBOURNE
5-COME DIVENTARE CURIOSO AD AMSTERDAM
6-COME FARE IL VISUAL DESIGNER A NEW YORK
7–COME DIVENTARE IMPRENDITORE A HOLLYWOOD
8-COME ANDARE A FARE IL PROGRAMMATORE ALLA WETA A WELLINGTON
9-COME DIVENTARE MEDIEVISTA A LEEDS
10-COME LAVORARE NEI VIDEOGIOCHI A LONDRA
11-COME DIVENTARE PRODUCT DESIGNER A PALO ALTO
12-COME INSEGNARE CULTURA ITALIANA A NEW YORK
13-COME FARE IL DESIGNER A LOS ANGELES
14-COME DIVENTARE ATTORE A LOCARNO
15-COME FARE IL FILOSOFO A SAN FRANCISCO (E UN PO’ OVUNQUE)



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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